Da quando ha assunto il potere, il presidente salvadoregno Nayib Bukele non si è fermato un attimo: come un carro armato, è passato sopra gli accordi di pace, l’indipendenza dei poteri, avversari politici, diritti consacrati nella Costituzione. Un processo di involuzione democratica tanto rapido quanto devastante. A descrivercelo, durante una sua visita a Roma, è l’ex deputata del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (Fmln) Nidia Díaz, già comandante guerrigliera, negoziatrice e firmataria dell’accordo di pace.

 

 

Cosa è rimasto della democrazia salvadoregna?

Il prossimo 16 gennaio celebreremo i 30 anni dalla firma degli accordi di pace, dopo un lungo processo di dialogo e due anni di negoziati. L’obiettivo era quello di superare il conflitto armato attraverso un accordo politico e di fare in modo che tale accordo avviasse un processo democratico e garantisse il rispetto pieno dei diritti umani e la riconciliazione tra i salvadoregni.
L’accordo di pace è stato in primo luogo una riforma politica diretta ad abbattere una dittatura. Non poteva risolvere tutti i problemi, tanto meno quelli economici legati al modello neoliberista imposto dall’oligarchia, ma creava le condizioni per continuare a lottare. Il Fronte su questo punto è sempre stato chiaro: una rivoluzione non si realizza a un tavolo negoziale con la destra.
Il governo Bukele, tuttavia, disconosce questi accordi, ritenendoli un patto tra i corrotti di sempre, il partito di destra Arena e il Fmln, e definendo tutta la lotta prima e durante la guerra civile come una farsa, con buona pace dei martiri, delle vittime e di tutti coloro che si sono spesi per la conquista della democrazia. Per Bukele la democrazia inizia con lui ed è con lui che si scrive la storia. E con tale convinzione calpesta la Costituzione, l’indipendenza dei poteri e il sistema di pesi e contrappesi creato dagli accordi di pace, in un chiaro ritorno a un passato di autoritarismo.

Quali sono le tappe di questa involuzione?

Con la vittoria di Bukele del 2019, secondo il vicepresidente Féliz Ulloa, «è iniziata una nuova guerra, con nuovi attori», e questa guerra, ha garantito, «continueremo a vincerla». Ed effettivamente con le elezioni legislative del 2021, per la prima volta dalla fine del conflitto, un solo partito, quello di Bukele, Nuevas Ideas, ha assunto il controllo del congresso, procedendo poi, il primo maggio, a destituire i cinque giudici della Sala costituzionale della Corte Suprema di Giustizia e il procuratore generale della Repubblica. Si è trattato del secondo golpe del presidente contro un organo dello stato dopo quello del 2020, quando, per forzare l’approvazione di una richiesta di prestito al Banco Centroamericano de Integración Económica per il suo piano di sicurezza pubblica, Bukele aveva fatto irruzione in parlamento circondato da una cinquantina di militari e di poliziotti pesantemente armati. Come se non bastasse, alla fine di agosto ha imposto la pensione obbligatoria a tutti igiudici con più di 60 anni, cioè un terzo del totale, in amniera da da depurare l’organo giudiziario.

E a tutto ciò si aggiunge la persecuzione politica contro i suoi avversari…

È stata creata una commissione per indagare sulle entrate extra dei funzionari pubblici, discutibili dal punto di vista etico ma non illegali. Bukele ha trasformato tale pratica in reato ampliando la definizione di peculato e riciclaggio di denaro, e con effetto retroattivo, in violazione del diritto nazionale e internazionale. Ha scatenato così quella che abbiamo chiamato guerra giudiziaria, con detenzioni arbitrarie dei suoi nemici politici. Il Fmln conta già 21 prigionieri politici in carcere senza motivo. Inoltre, da quando Bukele ha assunto la presidenza, sono stati licenziati più di 7mila impiegati del settore pubblico considerati vicini al Fronte. Ma la persecuzione non ha risparmiato neppure le organizzazioni della società civile, le università, gli ecologisti, i difensori dei diritti umani. Se poi venisse approvato il contestatissimo progetto di legge sugli “Agenti stranieri”, che proibisce alle organizzazioni qualsiasi attività «con fini politici o di altro tipo al fine di alterare l’ordine pubblico e mettere in pericolo la sicurezza nazionale o la stabilità sociale», le ong e gli individui che ricevono denaro dalla cooperazione internazionale sarebbero obbligati a registrarsi come «agenti stranieri» al Ministero dell’Interno e a pagare una tassa del 40%.

La popolarità di Bukele era altissima. È ancora così?

Il tasso di approvazione è crollato dall’85-90% al 49%. In particolare, il 91% della popolazione è contraria alla “legge bitcoin”, temendo di vedersi pagare salari e pensioni in questa volatile criptovaluta. Bukele sta usando fondi pubblici per comprare bitcoin. Ora il suo valore è pari a 50mila dollari, ma domani potrebbe scendere a 20mila. Non si può giocare in questo modo con il denaro del popolo. Senza contare i timori di un aumento di introiti da attività illecite a causa della mancanza di trasparenza nelle transazioni con moneta virtuale. Per questo, dal 7 settembre, quando il bitcoin è stato convertito in mezzo di pagamento tale e quale al dollaro, si sono registrate massicce marce di protesta.

 

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A cosa si deve il vertiginoso aumento di desaparecidos?

Mentre si procede ad arrestare persone sospettate di aver avuto relazioni con le maras, le bande criminali, queste vengono tollerate e lasciate operare. Il governo non le controlla, ha solo stretto un patto con loro. E mentre la criminalità continua a crescere, il governo l’affronta militarizzando la società, in violazione degli accordi di pace. E aumentando il numero di soldati da 20 mila a 40mila.

Il Fmln è uscito a pezzi dalle ultime elezioni. C’è stato un processo di autocritica?

Sì, ed è ancora in corso. È evidente che abbiamo perso la battaglia delle idee e delle percezioni. Per esempio, ci sono stati sicuramente casi di corruzione e di cattiva gestione delle risorse, ma da qui a dire che tutto il Fronte è corrotto, che tutti i dirigenti si sono arricchiti, ce ne passa. Il Fmln si è rivelato incapace di comunicare alla popolazione le conquiste realizzate e a organizzare il potere popolare. I dirigenti non si sono impegnati sufficientemente a costruire una nuova coscienza. Ora il Fronte è entrato nella sua tappa più critica, passando da 23 deputati ad appena 4. Ma questo è un periodo di resistenza e di lotta, per evitare che si consolidi la dittatura di Bukele. Il 19 dicembre realizzeremo la nostra Convenzione, con l’obiettivo di interpretare l’attuale momento storico, di serrare le fila delle forze democratiche e di costruire un fronte ampio in grado di rispondere alle aspirazioni concrete della popolazione.

Riuscirà Bukele a farsi rieleggere?

Il governo sta rimettendo mano alla Costituzione che abbiamo riformato con l’accordo di pace: su 274 articoli, le modifiche proposte sono 215. Tuttavia, le riforme costituzionali richiedono l’approvazione di due legislature consecutive: nella prima si approvano e nella seconda si ratificano. E inoltre la rielezione è proibita da 5 articoli “pétreos”, cioè irriformabili. I magistrati della Sala Costituzionale imposti da Bukele hanno però offerto un’interpretazione diversa, considerando che spetta solo al popolo decidere se un presidente debba o meno continuare a governare e avallando così la possibilità della rielezione presidenziale immediata già nel 2024. Un’aberrazione politica. La gente però non è abituata a riconfermare un presidente. E la popolarità di Bukele è in calo. Per cui esistono ancora margini di lotta.

Errata Corrige

Sistema giudiziario soggiogato, Costituzione calpestata e avversari perseguitati, oltre all’idea che gli accordi di pace firmati 30 anni fa siano una farsa… Tutti i poteri nelle mani del presidente, che ora punta alla rielezione forzando le regole. «Il suo tasso di approvazione però è crollato dall’85-90% al 49%. E il 91% della popolazione è contro la “legge bitcoin”, temendo di vedersi pagare salari e pensioni in questa volatile criptovaluta che Bukele compra con i fondi pubblici»