Al di là di come la si pensi, è davvero un’affermazione epocale per tutta l’America Latina quella del giovane Nayib Bukele in El Salvador. Divenuto presidente della repubblica due anni fa “noleggiando” un piccolo e corrotto partito della destra, oggi con la sua formazione politica Nuevas Ideas ha conquistato i due terzi dei deputati in parlamento, col 66,5% delle preferenze. Mentre nelle contemporanee elezioni municipali si è imposto in 13 dei 14 capoluoghi di regione (compresa San Salvador). In consultazioni peraltro ineccepibili, supervisionate dai tutti i partiti concorrenti.

DI FAMIGLIA PALESTINESE emigrata da Betlemme un secolo fa, Bukele si è così convertito democraticamente in un sovrano assoluto, guadagnandosi a suon di twitter il consenso dei giovani, ovvero della stragrande maggioranza nel minuscolo quanto densamente abitato paese del Centramerica (7 milioni in 21mila km quadrati). Che il grande poeta salvadoregno Roque Dalton aveva definito «Pulgarcito (pollicino) de America».

STORICAMENTE DOMINATO da un’oligarchia avida e feroce, che un santo universale come l’arcivescovo Oscar Romero aveva stigmatizzato al prezzo di essere assassinato sull’altare nel 1980, El Salvador fu dilaniato da 12 anni di sanguinosa guerra civile al termine della quale, nel 1992, la guerriglia del Fronte Farabundo Martì riuscì a imporre la pace in un contesto di accettabile istituzionalità democratica. Che non fu sufficiente ad arginare disuguaglianze, violenza e miseria.

Non è un caso che Bukele provenga dalle fila del Fronte, di cui era stato prima giovanissimo sindaco di Nueva Cuscatlan e, fino al 2018, della capitale San Salvador. Suo padre era amico di Shafik Handal (anch’egli di origine palestinese) storico leader del Partito comunista salvadoregno.

Ma le intemperanze del sindaco metropolitano portarono il Fronte all’improvvida decisione di espellerlo dal partito. Da allora Bukele sostiene che «destra e sinistra sono categorie del passato». E che le nuove parole d’ordine, da esuberante imprenditore quale è stato, debbano essere «efficacia ed efficienza». Come ha in parte dimostrato fin d’ora, in un paese così disperato, dimezzando il tasso di assassinii delle bande giovanili (in uno dei paesi più violenti al mondo), nella gestione ferma della pandemia e recentemente con l’avvio della distribuzione gratuita di computer (internet compreso) agli alunni delle scuole.

STA DI FATTO che in men che non si dica la destra di Arena è caduta al 12% dei consensi; e ancora di più Il Fronte, precipitato al 6,8% (con appena 4 deputati da 19 che aveva su 84 membri dell’assise). Anche se un po’ meno peggio sono stati per loro i risultati delle municipali.

I detrattori di Bukele denunciano da tempo le sue pulsioni autoritarie da «uomo solo al comando», attorniato com’è da una stretta cerchia di familiari e amici. Con le sue allergie verso il sistema dei partiti, la stampa indipendente (tanto più se progressista) e pure verso la separazione dei poteri dello stato.

POLIZIA ED ESERCITO sono già dalla sua, come mostrò un anno fa con l’intimidatoria occupazione dell’Assemblea Legislativa, allora accusata di boicottare i suoi decreti. Ma ora potrà pure designare incontrastato il procuratore generale della repubblica, oltre che un terzo dei giudici della Corte Suprema di Giustizia. E soprattutto modificherà la costituzione per poter essere rieletto alle presidenziali del 2024.
Il messianico Bukele, quale in fondo si considera, col suo dito mignolo alzato (per distinguersi da ogni altro gesto identificativo) ha suscitato dunque enormi aspettative sulle frustrazioni di un popolo intero. Vedremo di qui in avanti quanto sarà capace di fare.