Dopo quattro estenuanti giorni di conteggi, l’Inec (Commissione nazionale indipendente nigeriana) ha annunciato, ieri mattina, che il vincitore delle elezioni presidenziali che si sono svolte sabato scorso in Nigeria è il presidente uscente Muhammadu Buhari, 76 anni, candidato dell’All progressive Congress (Apc), che conquista un secondo mandato con oltre 15 milioni di voti. Atiku Abubakar, 72 anni, candidato del Partito Democratico del Popolo (Pdp), ne avrebbe ottenuti 11 milioni.

Una vittoria, quella di Buhari, ottenuta principalmente grazie ai voti dei bastioni del nord, a lui favorevoli, e complice la scarsa affluenza in numerosi stati del sud-est storicamente vicini al Pdp. Buhari ha ottenuto il 56% dei suffragi (il minimo era il 25% dei voti in almeno 2/3 dei 36 stati della federazione) e il suo partito ha conseguito una schiacciante vittoria anche per l’elezione dei 360 deputati e dei 109 senatori.

Un’affermazione elettorale che, però, appare dimezzata visto che, sugli oltre 82 milioni di nigeriani registrati per le elezioni, si sono presentati alle urne in circa 29 milioni: sintomo dello scarso entusiasmo nei confronti dei due principali candidati, considerati entrambi come rappresentanti del duopolio dei principali partiti e garanti dell’establishment nazionale. «Ha vinto l’astensionismo» – ha dichiarato all’agenzia Afp Nana Nwachukwu, attivista della campagna Not Too Young Too Run – «i giovani non sentono la presenza dello stato e di questi candidati nella loro vita quotidiana».

Secondo i dati forniti dalla Ong locale Situation Room, che ha vigilato sullo svolgimento delle elezioni con 8mila osservatori, risultano «oltre 53 le vittime nelle violenze legate alle elezioni».

 

La vittoria di Buhari sui giornali di ieri (Afp)

 

Il presidente dell’Inec, Mahmud Yakubu – pesantemente criticato da entrambe i candidati in lizza per un rinvio delle elezioni arrivato troppo a ridosso dell’apertura delle urne – si è dichiarato «soddisfatto per lo svolgimento del voto e per la buona riuscita dell’imponente macchina organizzativa nazionale». Ma critiche sono arrivate dagli osservatori internazionali presenti durante il voto. «Ritardi nelle aperture, problemi con la lettura delle carte elettroniche, scambio di voti, seggi incendiati o saccheggiati: i rapporti arrivati da tutto il paese confermano l’inefficienza dell’Inec e lo svolgimento di elezioni meno credibili e trasparenti in confronto al 2015» ha dichiarato Maria Arena, capo degli osservatori dell’Ue presenti nel paese. In circa 8.500 seggi sui 120mila è stato impossibile votare.

Situation Room ha richiesto ai partiti e ai candidati insoddisfatti, nella paura di nuovi scontri tra i sostenitori dei due partiti, «di utilizzare tutti gli apparati legali preposti per fare appello, senza ricorrere alla violenza» in base anche all’”accordo di pace” siglato da tutti i candidati prima delle elezioni.

Buhari ha ringraziato i suoi elettori garantendo che sarà il «presidente di tutti i nigeriani». Toni diametralmente opposti da parte di Atiku Abubakar che «rifiuta il risultato finale e giura di appellarsi alla Corte di Giustizia, seguendo la via della legalità e non quella della violenza». Uche Secondus, esponente del Pdp, ha etichettato Buhari, in riferimento al suo passato da generale, come «persona che non è mai stata democratica: sembra di essere tornati al periodo dei regimi militari, con seggi aperti in ritardo o dati alle fiamme».

Secondo il quotidiano Vanguard, Buhari ha vinto perché «nonostante gli scarsi risultati ottenuti in questo mandato, viene comunque considerato un personaggio più integro e corretto in confronto al milionario Atiku Abubakar». E ora avrà «il pesante fardello di far ripartire la Nigeria».

Le priorità, infatti, sono quelle, da un punto di vista economico, di combattere la corruzione, di dare un nuovo impulso a un’economia stagnante e di contrastare la disoccupazione, arrivata in alcune aree al 30%. A livello sociale la sfida sarà quella di rendere maggiormente sicuri numerosi stati della federazione contrastando i gruppi dei ribelli del Delta, le lotte interconfessionali tra pastori musulmani e contadini cristiani e soprattutto il gruppo jihadista Boko Haram che, negli ultimi dieci anni ha causato oltre 20mila morti e circa 2 milioni di profughi. Riforme e cambiamenti che Buhari non è stato in grado di fare negli ultimi 4 anni.