Una macchina organizzativa titanica, preoccupazioni sulla sicurezza, compravendita di voti. Oggi i nigeriani sono chiamati alle urne per eleggere il loro nuovo presidente e un nuovo parlamento: una vera sfida per questo paese di 190 milioni di abitanti, che si è presentato nel 2015 come uno dei pochi esempi di elezioni democratiche in Africa.

72 I CANDIDATI IN LIZZA per le presidenziali, anche se la corsa alla presidenza non ha che due soli concorrenti. Il presidente uscente Muhammadu Buhari, 76 anni, ex generale dell’esercito e rappresentante del partito di maggioranza All Progressive Congress (Apc), contro l’uomo d’affari ed ex vice presidente Atiku Abubakar, 72 anni ed esponente del principale partito d’opposizione Partito Democratico Popolare (Pdp). Entrambi i candidati, musulmani di lingua hausa, hanno concluso ieri la loro campagna elettorale nei rispettivi stati d’origine, Katsina per Buhari e Adamawa per Abubakar.

 

Manifesto elettorale di Muhammadu Buhari a Kano, nord Nigeria (Afp)

 

UNA CAMPAGNA SERRATA: numerose polemiche – come per la destituzione del presidente della Corte suprema, garante di libere elezioni, da parte di Buhari –, seggi elettorali bruciati in diverse regioni e alcuni attacchi di Boko Haram contro i militari nel nord est.

Un paese che, nonostante il crollo del prezzo del petrolio nel 2015, resta tra i più ricchi del continente africano. Ricchezze evidentemente mal gestite, spesso a causa dell’endemica corruzione del paese, visto che il paese detiene il record mondiale di persone che vivono sotto la soglia di povertà (90 milioni, il 50% della popolazione) con un tasso di disoccupazione che in alcune aree raggiunge il 40%, soprattutto tra i giovani, in un paese che ha un’età media di 18 anni.

LA QUESTIONE DELLA RIPRESA economica, insieme alla lotta alla corruzione, è stata centrale nella campagna più di quella legata alla sicurezza, con l’emergenza nel nord di Boko Haram o gli scontri interconfessionali tra contadini cristiani e pastori semi-nomadi musulmani che hanno causato oltre 20mila morti nelle regioni centrali.

Atiku Abubakar, vice-presidente per 8 anni, è conosciuto soprattutto per l’enorme ricchezza accumulata in questi anni grazie al suo impero industriale, al petrolio e all’agricoltura, con numerose aziende di import-export, proprio quando era responsabile delle dogana nazionale. Di orientamento liberale, ha utilizzato lo slogan – ripreso da Trump – «Make Nigeria Work Again», ha promesso di creare oltre tre milioni di posti di lavoro all’anno e di contrastare la povertà. Personaggio molto controverso, figura in una lista nazionale di persone «inadatte a gestire posizioni di potere» stilata dall’Agenzia anti-corruzione nigeriana. Nonostante le feroci critiche dei suoi avversari politici può contare, però, sull’appoggio di due ex presidenti, Ibrahim Babangida e Olusegun Obasanjo, e di alcuni esponenti politici fuoriusciti dall’Apc e delusi dalla gestione dell’attuale presidente.

PUR AVENDO PERSO TERRENO, Muhammadu Buhari sembra comunque lontano dall’essere sconfitto. Sicuramente gli elettori criticano l’attuale presidente, ma non hanno dimenticato che durante il decennio di potere del Pdp, la situazione era peggiore in termini di corruzione. Diventato presidente in elezioni democratiche – dopo il periodo dei regimi militari degli anni ’90 – Buhari aveva creato numerose aspettative soprattutto nella lotta alla corruzione e nella guerra contro il gruppo jihadista Boko Haram. Scommesse e obiettivi solo parzialmente o minimamente raggiunti vista la difficile situazione economica, sociale e della sicurezza nel paese.

Membro dell’aristocrazia del nord, Buhari può comunque contare sul sostegno quasi incondizionato di tutte le regioni settentrionali. Secondo il quotidiano locale Vanguard la vera lotta vede gli stati del nord contrapposti a quelli meridionali (schierati invece con Abubakar), dove la principale incognita è lo stato di Lagos e la zona sud-occidentale, fondamentale per la vittoria di uno dei due contendenti.

NELLA SOCIETÀ CIVILE serpeggia il malcontento per questo duopolio «che non fa sognare i nigeriani». «Bisogna cacciare “Bu-tiku”» – ha dichiarato Oby Ezekwesili, ex candidata alle presidenziali, ritiratasi in polemica con la gestione poco cristallina della Commissione elettorale nigeriana (Inec) – «visto che il futuro presidente, sicuramente uno tra i due ultrasettantenni, rischierà di essere eletto con un basso tasso di partecipazione». Stessa opinione di Wole Soyinka, premio Nobel per letteratura nel 1986, che ha recentemente affermato di rifiutarsi categoricamente «di votare uno dei due candidati perché lontani dalle reali esigenze dei nigeriani».