Con un rapporto presentato il 15 marzo a Ginevra l’Onu ha dato il colpo di grazia alla cosiddetta «verità storica» della Procura generale della Repubblica (Pgr) messicana sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, vittime di sparizione forzata nella città di Iguala la notte del 26 settembre 2014 e tuttora desaparecidos.

Il documento «Doppia ingiustizia: relazione sulle violazioni ai diritti umani nell’indagine sul caso Ayotzinapa» dell’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i Diritti umani analizza i casi di 63 dei 129 detenuti nell’inchiesta sulla sparizione degli studenti che, lungi dall’essere «chiusa», presenta una lunga serie di inconsistenze e piste tralasciate deliberatamente dagli inquirenti.

Jan Jarab, rappresentante del Commissariato Onu in Messico, ha spiegato che, in base ai referti medici della stessa Pgr, si può affermare che almeno 34 persone, che «presentavano lesioni multiple» sono state torturate dalle autorità messicane e, inoltre, l’ex direttore dell’Agenzia per le Indagini criminali, Tomás Zerón, s’è comportato «in modo fraudolento» nei confronti della stessa Onu.

Zerón è stato indicato per gestioni illegali in una presunta scena del crimine nella discarica di Cocula, dove secondo la Pgr i ragazzi sarebbero stati bruciati da narcotrafficanti. Inoltre ha dichiarato il falso, cioè che membri dell’Ufficio Onu in Messico l’avevano accompagnato il 28 ottobre 2014 nei pressi del Río San Juan, che scorre sotto la discarica, dove sono state ritrovate delle borse di plastica coi resti di uno degli studenti. L’ormai screditata versione ufficiale si basa anche su queste prove, raccolte irregolarmente e manipolate da Zerón.

Dunque l’Onu conferma quanto già denunciato dai familiari dei ragazzi, dai giornalisti e dagli esperti della Commissione interamericana dei Diritti umani, i quali hanno chiesto senza successo che s’investigasse il ruolo dell’esercito nel crimine.
«Una menzogna storica fabbricata in una discarica di spazzatura, così com’è spazzatura la storia che hanno creato», ha gridato il 16 marzo in conferenza stampa Emiliano Navarrete, uno dei genitori dei 43. «Esauriremo tutte le vie legali fino ad arrivare alla verità, i delinquenti sono i funzionari di governo e dovranno guardarci in faccia, non permetteremo che ci mettano i piedi in faccia perché siamo poveri».

La pista ufficiale sul caso è stata costruita quasi esclusivamente in base a testimonianze di persone che si sono autoaccusate dei delitti imputati in seguito alle torture, secondo il rapporto, di funzionari della Procura, della polizia federale e della Marina. «Tiriamo le somme delle responsabilità dello Stato», commenta Mario Patrón, direttore del Centro per i Diritti umani Pro Juárez.
«Dal rapporto emerge il ruolo della Marina nella morte violenta del detenuto Blas Patiño», ha spiegato Mario González, padre dello studente César Manuel. «Non difendiamo nessun delinquente ma non vogliamo neanche una verità estorta con la tortura».
L’Onu insiste perché la Pgr conduca «un’indagine autentica sulle torture e altre violazioni ai diritti umani, includendo le responsabilità dei superiori e il potere giudiziario. «Ringraziamo l’Onu, perché il governo vuole coprire i veri responsabili», dice María de Jesús Tlatempa, madre di uno dei ragazzi. «Ora basta con le sparizioni forzate e le fosse clandestine».