Da una tormentata love story tra crociati contro la miseria e la malattia nel Terzo mondo, interpretato da grosse star del cinema internazionale e girato in Africa, a un film piccolo, intimo, interpretato dal regista con sua figlia, e molto «americano» – il titolo, Flag Day, un omaggio alla festa dell’indipendenza Usa. Sean Penn torna a Cannes in concorso cinque anni dopo che il suo ambizioso ma sgangherato Il tuo ultimo sguardo (The Last Face) venne letteralmente fatto a pezzi sulla Croisette, in un fuoco incrociato di critiche feroci e furia tabloid, alimentata dalla rottura tra Penn e una delle sue star, Charlize Theron. Lo scarto di scala è stata una scelta ispirata per l’attore/regista/attivista, come ispirata è stata la scelta della fonte del film, il libro di Jennifer Vogel Flim Flam Man: The Story of My Father’s Counterfeit Life. Flag Day è infatti un duetto padre/figlia in cui, all’autobiografia delle scrittrice, si sovrappone dolcemente l’elemento autobiografico dato dalla presenza di Penn e di sua figlia, Dylan nei ruoli dei due protagonisti (suo figlio, Hopper Jack Penn, ha un ruolo minore).

LA STORIA è quella di John Vogel (Penn) – famigerato falsario, rapinatore di banche, piromane, e un bugiardo congenito – come raccontata dalla figlia Jennifer (Dylan Penn).
Abbandonata, ripresa e nuovamente, abbandonata dall’inaffidabile papà fin da quando era piccola, crescendo Jennifer attraversa molteplici stadi di fascinazione e disillusione. Il filtro del racconto oscilla dolcemente tra smacco doloroso e affetto. Luminosissima e intensa, Dylan Penn ha i suoi momenti migliori nelle scene con suo padre, in cui contrappone ai tour de force illusionistici di lui, una calma rassegnata in cui però la scintilla della speranza non scompare mai del tutto. La verità profonda e lievemente divertita delle rispettive interpretazioni più forte di tutte e bugie di John Vogel.