Non mi sono mai capacitato del fatto che quelle fitte, difficilmente leggibili in quanto stampate con piccoli caratteri, e soprattutto inquietanti informazioni su cartigli leggeri che troviamo nelle confezione dei farmaci, siano chiamate “bugiardini”.

Visto che si discute di come vengono modificati in corso d’opera i “bugiardini” di vaccini che siamo indotti a assumere per il bene nostro e comune (altra questione è che siano arrivate le dosi, possibilmente ben incapsulate e non mischiate a sostanze immesse per errore, come è capitato a Johnson & Johnson negli Stati Uniti…) mi sono documentato presso l’Accademia della Crusca.

Ecco qui – anche per cavarmela presto – una lunga citazione: “Il termine bugiardino (…) è una formazione semanticamente e morfologicamente trasparente, sulla base dell’aggettivo bugiardo con il suffisso del diminutivo –ino, adatto sia in riferimento alle dimensioni dell’oggetto sia per attenuare con una vena di ironia l’appellativo di bugiardo. In questo processo si assiste al passaggio dall’aggettivo bugiardo, riferibile soltanto all’uomo come entità in grado di concepire e di dire bugie, a un sostantivo che invece indica un oggetto inanimato contenente un testo, per la precisione un testo informativo.

Qualche indizio potrebbe farci ipotizzare che il nome sia nato da un uso nominale dell’aggettivo bugiardo: in Toscana, per la precisione in area senese, gli anziani ricordano che il bugiardo era la locandina dei quotidiani esposta fuori dalle edicole e da qui, riducendo le dimensioni del foglio, si è forse potuti arrivare a denominare bugiardino il foglietto dei medicinali.

C’è un altro aggancio, questa volta documentato, all’ambito giornalistico: nel libro di G. Gelati, Parlare livornese (Ugo Bastogi Editore, 1992) si trova la voce bugiardello così definita: “durante il fascismo era così chiamato dagli antifascisti il giornale «Il Telegrafo» che si diceva essere proprietà della famiglia Ciano”.

Non abbiamo però nessun dato che possa confermare il legame tra queste formazioni che, sulla stessa base di bugiardo, possono aver avuto percorsi distinti. Se queste restano soltanto ipotesi – prosegue la Crusca – non c’è dubbio invece che questo nome voglia puntare l’attenzione sulle prerogative di queste particolari “istruzioni per l’uso” che, soprattutto negli anni di boom della farmacologia, tendevano a sorvolare su difetti ed effetti indesiderati del farmaco per esaltarne i pregi e l’efficacia. Non erano quindi vere e proprie “bugie” (…) ma nell’insieme il foglietto risultava un “bugiardino” che diceva piccole bugie…”.

Il testo poi rassicura: la legislazione successiva avrebbe obbligato le case farmaceutiche ad essere più serie. Speriamo ci sia del vero. Ciò che mi ha colpito è il nesso che qui accomuna in un giudizio negativo di origine popolare produttori di farmaci e produttori di informazioni (noi giornalisti). E non solo durante il regime fascista. Deliziosa comunque la variazione “bugiardello”, nella quale sembra evocarsi la malizia del “cattivello”: non sei proprio un criminale, ma ti diverti un po’ troppo a imbrogliarmi!

Dobbiamo rassegnarci a essere tutti un po’ cavie in questa faccenda del virus e dei rimedi: la scienza “ha fatto miracoli” producendo rapidamente i vaccini, ma è chiaro che non tutto è proprio a posto.
Bisogna farsi esperti nel valutare la credibilità della ricerca e le scelte, anche etiche, sul meglio da fare per sé e per gli altri. Con l’intrusione – veramente fastidiosa – nella faccenda di enormi egoistici interessi economici e geopolitici.

Uscirne più colti, consapevoli e determinati – oltre che sani e salvi – sarebbe il risultato migliore?