Ieri in Ungheria è entrata in vigore la legge sulla detenzione preventiva dei richiedenti asilo approvata dal Parlamento agli inizi di marzo. Prevede che gli interessati vengano trasferiti in campi situati lungo i confini con la Serbia e la Croazia e che vi rimangano per tutto il tempo necessario all’esame delle loro richieste.

Sorvegliati dalla polizia, i campi saranno dotati di container capaci di ospitare, secondo fonti locali, dalle 200 alle 300 persone e vi troveranno posto non solo i richiedenti asilo, ma anche i migranti trovati in qualsiasi punto del territorio ungherese.

A dire il vero questa pratica era già in uso in Ungheria ma è stata abbandonata nel 2013 su pressioni dell’Unione europea e dell’Onu.

L’entità del fenomeno e la politica intrapresa dal governo in questo campo hanno portato al ripristino della pratica in questione. «Sappiamo che questa misura è contro gli accordi internazionali già accettati dall’Ungheria – ha detto di recente il primo ministro Viktor Orbán – ma la reintrodurremo lo stesso».

L’atteggiamento del premier di Budapest è rappresentativo di un’Europa che respinge l’orientamento di Bruxelles in ambito migranti e chiude al sistema dei ricollocamenti.

Su questo punto convergono i paesi del Gruppo di Visegrád all’interno del quale Ungheria e Polonia assumono una posizione di punta nel disaccordo con l’Ue. L’Austria annuncia di essere disponibile a dare il via all’accoglienza dei profughi da Italia e Grecia per poi chiarire di non voler essere coinvolta in futuri schemi ridistributivi.

L’intenzione dei governanti ungheresi è blindare sempre più le frontiere del paese per difenderlo da ingenti flussi migratori che secondo Orbán sono «il cavallo di Troia» del terrorismo internazionale islamista.

Per il premier l’Ungheria è posta sotto assedio da un flusso ininterrotto di migranti e non può aspettare le soluzioni dell’Ue per risolvere un’emergenza che, precisano Orbán e i suoi più stretti collaboratori, minaccia la sopravvivenza stessa dell’Europa e della sua identità culturale cristiana.

E il refrain governativo continua con considerazioni del tipo «meno male che c’è l’Ungheria che si prende carico di questo problema e mostra di preoccuparsi dei confini di Schengen e del futuro dell’Europa più di quanto non faccia Bruxelles» che per Budapest è ostaggio del cosiddetto «partito dell’accoglienza».

Per Amnesty International la misura entrata ieri in vigore in terra magiara è inaccettabile. L’organizzazione si appella all’Ue affinché faccia pressioni sull’Ungheria contro un provvedimento illegale e inumano.

Alle prime proteste di Amnesty e di varie Ong attive sul fronte dei diritti umani, il ministro dell’Interno Sándor Pintér aveva difeso la legge, all’epoca appena approvata dal Parlamento, dicendo che molti richiedenti asilo non rispettano le regole, presentano la domanda ma non rispettano i tempi per il suo esame e se ne vanno in giro per lo spazio Schengen per arrivare in Germania o Svezia. «Diventano un problema in termini di sicurezza pubblica», aveva aggiunto.

Dal canto suo Orbán tiene a precisare che i richiedenti asilo non saranno rinchiusi nei container, ma avranno libertà di movimento. Non troppa, certo, presumibilmente quella di cui si può “godere” entro il perimetro dei campi predisposti per ospitare profughi.

Ieri il Commissario Ue per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, Dimitris Avramopoulos, è stato in visita a Budapest dove ha incontrato Pintér.

Avramopoulos ha annunciato che la misura verrà esaminata da un gruppo di esperti per verificare che le regole dell’Ue vengano rispettate e affermato che quelle dell’immigrazione e della sicurezza sono sfide globali, non solo europee, che vanno affrontate in modo corale non con iniziative isolate: «Nessun paese può risolverle da solo».

Secondo Pintér, comunque, una certa convergenza di vedute fra l’Ungheria e Avramopoulos sulla difesa dei confini, la sicurezza e l’atteggiamento da assumere nei confronti dei profughi. L’unico disaccordo riguarderebbe il modo di gestire il problema degli immigrati clandestini.

A questo proposito Pintér ha affermato che la questione sarà studiata da un gruppo di lavoro per una soluzione da trovare entro l’estate.