«Una vergogna per la Germania. Una catastrofe completa». Felix Hutfeld, presidente della BaFin (la Consob tedesca) non trova altre parole per definire il maxi-scandalo che ha investito Wiredcard, colosso bavarese con 6.000 dipendenti specializzato nei pagamenti on-line.

Lunedì la Procura di Monaco ha firmato il mandato di arresto dell’ex amministratore delegato, Markus Brown, contestandogli il “ritocco” del bilancio con azioni fraudolente nelle transazioni «per rendere più appetibile l’impresa sul mercato».

Nella pratica significa che 1,9 miliardi in fondi fiduciari depositati in due banche delle Filippine, riportati nero su bianco nel consuntivo 2019, non sono mai esistiti.

Si tratta esattamente di un quarto del patrimonio di Wirecard. Ed è proprio la somma che la società di revisione dei conti “EY” si è rifiutata di certificare a margine del documento sulla previsione degli utili 2020.

È deflagrato così il caso che ha travolto l’impresa fin-tech anche alla Borsa di Francoforte, dove il titolo è crollato fino all’85% del valore nel fine settimana e di un ulteriore 44% nella seduta di ieri. Tonfo senza precedenti per Wirecard che appena due anni fa aveva superato il gigante Commerzbank nell’indice delle prime 30 aziende tedesche.

Uno scandalo «incredibile» nella Bunderepublik che si vanta sempre e comunque della propria, proverbiale, solidità finanziaria. «Mi sarei potuto aspettare uno scandalo del genere in qualunque parte del Mondo. Eccetto in Germania» confessa attonito Peter Altameier, ministro dell’Economia e braccio destro della cancelliera Angela Merkel.

Mentre si registra la parallela “indignazione” del settore bancario che (adesso) chiede la riforma delle regole di governance delle società quotate a Francoforte. In testa, l’Associazione dei consigli di sorveglianza presieduta da Peter Dehnen che propone il modello Nasdaq.

Ciò nonostante, il ministro delle Finanze Olaf Scholz, numero due del governo Merkel, scagiona già da ogni responsabilità chi avrebbe dovuto controllare le operazioni più che sospette di Wirecard. «Le autorità di vigilanza hanno svolto correttamente il loro compito», assicura il vice-cancelliere della Spd, nonostante perfino il presidente del Cda di Deutsche Bank sia stato costretto ad ammettere che «il problema è molto serio e riguarda da vicino tutti noi».

Proprio come aveva anticipato il Financial Times a febbraio 2019, “spulciando” le attività finanziarie della società bavarese in Asia che già allora non facevano tornare i conti.

Brown, che si era costituito spontaneamente a Monaco, è stato rilasciato ieri dopo avere depositato 5 milioni di euro di cauzione. La sua versione è che «l’impresa potrebbe essere vittima di una grande truffa» ordita ai danni di Wirecard e dei suoi azionisti tra i quali spicca lui stesso che possiede oltre il 7% del capitale sociale.

In ogni caso, lo scandalo scoppiato nel week-end è la fine della corsa della start-up finanziaria fondata nel 1999 che a settembre 2018 ha fatturato 2,2 miliardi di dollari: il quadruplo del 2013. Di fatto, Wirecard è passata dal valore di mercato pari a 24 milioni di euro di due anni fa all’1,7 registrato venerdì scorso.

Una “botta” che rischia di distruggere il concorrente diretto di Paypal e Mastercard, dopo che la Banca centrale di Manila ha negato ufficialmente che i quasi 2 miliardi di buco di bilancio fossero mai transitati per il sistema finanziario delle Filippine. Un colpo alle parti vitali del business di Wiredcard che vive di milioni di piccoli clienti ma soprattutto degli accordi con le multinazionali come Vodafone, Sky e Aldi.