Terremoto in Calabria. Il castello di Peppe Scopelliti, presidente di Regione, e padre padrone della politica calabrese, crolla di schianto alle 20.10 di una piovosa giornata di fine marzo. Nell’aula ex Cedir, l’attesa per il processo Fallara era enorme e l’esito si è rivelato deflagrante come una bomba a miccia corta. Condanna a 6 anni e interdizione perpetua dai pubblici uffici nel processo che vedeva imputato Scopelliti nell’ambito dell’inchiesta sul bilancio del comune di Reggio Calabria. Per l’ex sindaco l’accusa formulata era abuso d’ufficio e falso. E la condanna superiore ai due anni di reclusione per i reati contestati, in base alla legge Severino, comporta la sospensione per 18 mesi dal consiglio regionale.

A questo punto Scopelliti è fuori gioco anche rispetto ad una ricandidatura, a meno che non dovesse sopraggiungere una sentenza di secondo grado di assoluzione. Tutta la vicenda giudiziaria è legata alle autoliquidazioni che avrebbe fatto l’ex dirigente dell’Ufficio finanza del Comune di Reggio, Orsola Fallara, suicidatasi nel 2010.

Il pubblico ministero aveva chiesto pene esemplari: cinque anni e l’interdizione dai pubblici uffici. Ma la condanna è stata ancor più pesante. I giudicanti hanno, pertanto, riconosciuto come più volte richiesto dall’accusa lo stretto rapporto fiduciario tra Scopelliti e Fallara nominata dirigente del settore finanza del Comune senza titoli e per il solo fatto che avesse con lei uno stretto rapporto di fiducia. Nei fatti era lei «l’assessore» come hanno detto numerosi testimoni durante il dibattimento, e anche il presidente di Assindustria di Reggio Cuzzocrea. Già nel 2006 la Corte dei conti rilevava il disequilibrio di bilancio, lo sforamento del patto di stabilità interno, e tutto ciò avrebbe dovuto comportare il blocco delle assunzioni di personale e degli acquisti di nuovi beni e servizi e la cessazione dell’utilizzo di consulenze e professionalità esterne all’ente.

Ma tutto questo non fu fatto. Il buco al bilancio comunale era gigantesco come peraltro è emerso dalla successiva ispezione del ministero delle finanze. Sono state appurate contabilizzazioni irregolari tra entrate e uscite, una rilevante esposizione finanziaria verso le società partecipate, la non conformità nella sottoscrizione di uno swap con un importante istituto bancario, e addirittura, i reiterati e mancati pagamenti nei confronti dell’Enel. Non si pagava l’Enel ma si pagavano 600 mila euro per le statue di Raparama collocate sul lungomare o 250 mila euro per Rtl.

Il comune guidato da Scopelliti per quasi un decennio si era, dunque, trasformato in un bancomat. E Scopelliti avallò tutto questo firmando i bilanci falsi. A nulla è valsa la disperata difesa dei legali del presidente di addossare tutte le colpe a Fallara. Morta sulla banchina del porto reggino dopo aver ingerito ammoniaca. Una morte sospetta troppo frettolosamente archiviata come suicidio.