Fra gli alberi da tenere d’occhio per la sua ancestrale presenza e le sue virtù magiche c’è anche il fico, il cui frutto succoso nel giardino dell’Eden è rappresentato, a volte, al posto della mela tra le fronde della conoscenza. È lui, con le sue grandi foglie verdi che nascondono intrusi e il suo tronco facilmente scalabile che procaccerà la salvezza a Buchettino. Una fiaba, quella del piccino molto povero che cerca di investire oculatamente il suo unico soldo ricevuto dalla madre, che lo scrittore Antonio Tabucchi (1943-2012) doveva aver molto amato durante la sua infanzia e che, di certo, aveva ascoltato più volte, essendo lui nato a Pisa e Buchettino «sgattaiolato» nelle campagne toscane, fratello di latte di Pollicino e di altri micro-esseri che abitano le leggende e i racconti di tempi remoti. In fondo, la Toscana abbonda di lillupuziani e in diverse versioni popolari della fiaba classica, il bambino che scorrazza fra prati e boschi si chiama Pochettino, a testimonianza della sua piccolissima statura e del fatto che la crescita è una fortezza ancora tutta da espugnare.

FeltrinelliKids propone un Buchettino inedito, scaturito dalla penna d’autore di Tabucchi (pp. 32, euro 14) in cui le poetiche illustrazioni di Simona Mulazzani accompagnano il testo. «Dammi un bel fichino col tuo bianco manino!», gli dice l’orco della tradizione piazzandosi sotto l’albero dove Buchettino sta facendo scorpacciata di fichi, felice di potersi saziare a volontà. La fiaba colloca l’albero di fico nei terreni di proprietà dell’orco, oppure lo lascia venir su in un giorno da un frutto caduto a terra (il padre di Buchettino consola il figlio che si dispera, creando l’attesa per la circostanza fatata), ma nella storia rivisitata da Tabucchi germoglia direttamente da quel gambo di fico secco che il bimbo aveva sotterrato in giardino «perché non voleva buttare via niente». Poi, in un tripudio di bisogni corporali che sottolineano l’orchitudine – l’essere tutto muscoli e niente cervello – il racconto va avanti, dimostrando che, pur se ridotti al minimo, si può sempre vincere sull’ottusità. Tabucchi leggeva Kipling, ma si può immaginare la sua simpatia per le fiabe, perché – diceva – il tempo è una dimensione inafferrabile e quello reale porta sempre con sé un certo turbamento».

«Il racconto credo che sia una forma chiusa, un po’ come il sonetto in poesia. Per assecondare le sue leggi bisogna pensare soprattutto e tenere presente la misura del tempo». Meglio però addentrarsi guardinghi in una cronologia del fantastico. Buchettino, va ricordato, è stato anche il protagonista di un meraviglioso spettacolo che portò in scena la Socìetas Raffaello Sanzio – dove gli spettatori erano invitati in una baracca a mettersi sotto le coperte di un letto e a rimanere fermi, a occhi chiusi, per ascoltare le suggestioni sonore della storia. Tornò in vita con la riscrittura di Chiara Guidi e la regia di Romeo Castellucci, portando poi a un’edizione della fiaba in veste teatrale, curata da Orecchio Acerbo.