A rapidi ma felpati passi la Romania si avvicina sempre di più alla preda moldava. Due giorni fa il governo della Moldavia ha deciso di modificare l’articolo 13 della Costituzione sostituendo il rumeno al moldavo come lingua di Stato.

Il presidente della Repubblica Igor Dodon ha dichiarato però che «si tratta di un mutamento inaccettabile che si rifiuterà si controfirmare». La differenza tra i due idiomi è stata a lungo discussa dai linguisti: da una parte coloro i quali sostengono che il moldavo non sia altro che un rumeno con poche varianti grammaticali e dall’altra chi la considera una lingua a sé che nel periodo sovietico ha rafforzato le sue peculiarità. Sottigliezze linguistiche a parte, lo scontro è tutto politico.

In Moldavia dall’inizio dell’anno si assiste a una difficile coabitazione tra la maggioranza parlamentare controllata da una coalizione di centro-destra e neoliberale e il capo di Stato, recentemente eletto, Igor Dodon leader del partito socialista moldavo.

Sin da subito dopo l’elezione di Dodon alla presidenza si è assistito a uno scontro senza esclusione di colpi tra le due istituzioni. Da una parte il governo sempre di più deciso a stringere i rapporti non solo con l’Unione Europea (la Moldavia è solo associata alla Ue) ma anche con la Nato e dall’altra Dodon che vuole mantenere dei buoni rapporti di vicinato con la Russia in vista di un rilancio delle esportazione dei propri prodotti agricoli. Ma anche politici. Dodon proviene dal Partito Comunista – tradizionalmente filo-russo, da cui si è distaccato qualche anno fa per abbracciare una politica meno settaria e più dinamica. Secondo gli ultimi sondaggi del 14 dicembre dell’«Istituto Sociale di Politica della Moldavia», se si votasse oggi il Partito Socialista Moldavo di Dodon potrebbe uscire dalle urne come primo partito e rovesciare la maggioranza di centro-destra, anche se il voto dei moldavi all’estero – in gran parte filo-occidentali – potrebbe rovesciare ogni previsione.

La Moldavia già da anni è al collasso. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica il paese ha conosciuto un declino inarrestabile. Il Pil pro capite medio non raggiunge i 2.000 dollari l’anno, la pensione minima è di 25 dollari al mese, la produzione industriale è inesistente, i servizi sociali e sanitari sono solo sulla carta, il 25% della popolazione è emigrata all’estero, perlopiù definitivamente.

In questo contesto si è inserita la sempre più aggressiva iniziativa «neo-coloniale» del governo rumeno che sta lavorando alacremente per giungere a una unificazione con lo Stato ex-sovietico: già da più di un anno la Romania dà la possibilità a tutti i cittadini moldavi – compresi quelli resistenti in Moldavia – di prendere passaporto e cittadinanza rumena.

Una prospettiva che fa gola soprattutto a Washington. La Romania è diventata l’ultimo tassello dell’aggressiva politica della Nato degli ultimi verso la Russia.

La sessione annuale della Nato tenutasi proprio a Bucarest lo scorso ottobre si è conclusa con una risoluzione che sottolinea «l’importanza della regione del Mar Nero per la sicurezza euro-atlantica e globale».

Per questo è stato dato il via a una modernizzazione massiccia delle sue forze armate. 50 milioni di euro sono stati destinati alla base militare Mihail Kogalniceanu, vicino al porto di Constanta nel Mar Nero. E sono di stanza nella base centinaia di soldati statunitensi con carri armati e attrezzature militari. In funzione anti-russa è anche il sistema di difesa missilistica di Deveselu costato ben 680 milioni di euro.

È evidente che una Moldavia rumena e nella Nato rischierebbe di aprire un secondo focolaio, dopo quello ucraino, di guerra e destabilizzare ancora di più di quanto non lo sia l’Europa orientale. Una crisi che potrebbe diventare fatale per gli incerti equilibri del continente.

In questo contesto la querelle della Transnistria potrebbe tornare di bruciante attualità. La Transnistria, piccola lingua di terra che faceva parte della Moldavia in periodo sovietico, se ne distaccò per diventare una piccola repubblica autoproclamata nel 1992. La Russia ad oggi non l’ha mai riconosciuta e non ha mai preso in considerazione la richiesta fatta dalla Transnistria nel 2014 di unificazione, ma è evidente che una Moldavia rumena e nella Nato potrebbe far cambiare rapidamente idea al Cremlino.