Licenziato dalla BMG, Live At The Royal Albert Hall 1974 cattura una delle tappe più intriganti del percorso ferryano, quella dei suoi 2 primi album solisti, These Foolish Things e Another Time, Another Place, che ispirano la performance. In questi ultimi Ferry sperimenta infatti, nell’arte della cover, il postmodernismo selvaggio maturato con i Roxy Music, È il 1973 quando esce These Foolish Things, che reinterpreta soprattutto canzoni jazz, r&b e country-folk dagli anni ’30 ai ’60, quelle «venute prima di Dylan e dei Beatles», non solo in senso cronologico ma anche culturale, che l’artista predilige. Realizzare un album di cover in un’epoca di rigore cantautorale è già di per sé uno schiaffo ai musicisti e giornalisti «seri», che pongono come valore essenziale l’«autenticità»; figuriamoci proporre come singolo l’emblematica ballata generazionale A Hard Rain’s A-Gonna Fall di Dylan con un andamento anfetaminico e un arrangiamento semicabarettistico.

MA ANCHE se non raggiunge lo stesso livello di genio in altre reinterpretazioni, a Ferry altrove il gioco dissacrante riesce perfettamente, ad esempio nella ripresa di These Foolish Things (Remind Me Of You), resa celebre da Bille Holiday o di The ’In’ Crowd, interpretata originalmente dal soul singer Dobie Gray. Il terzo album della serie esce quando si sono ormai sciolti (o sono stati messi in pausa) i Roxy Music: Let’s Stick Together (’76) è più una raccolta di singoli e B Side che un lp vero e proprio, e affianca a cover anche molto riuscite come la title-track (del cantante r&b Wilbert Harrison) a rifacimenti di pezzi scritti per i Roxy Music. Ma le vendite vanno peggio del previsto e non miglioreranno con i successivi lavori. prevalentemente composti da inediti. Riformatisi alla fine degli anni ’70, i Roxy Music ripartono dagli spunti funky di Siren per confezionare, nel giro di 3 album, uno stile pop-dance impalpabile, di un’eleganza assoluta, che influenzerà molto la new wave. La perfezione viene raggiunta nel dilatato e minimale Avalon (’82), dopo il quale Ferry scioglie il gruppo, Di Avalon quest’ultimo continuerà a variare e affinare la formula, in un infinito gioco di rimandi, nei suoi album solisti di inediti, con un sound spesso vertiginosamente manipolato e dettagliato. Accade specialmente in Mamouna (’94), Olympia (’10), che vede Eno ai synth, e Avonmore (’14). Ma la tradizione degli album di cover non verrà abbandonata, semmai rinnovata in varie formule talora sorprendenti, come quella di As Time Goes By (’99). un raffinato omaggio a Tin Pan Alley e alla musica jazz dei primordi. L’amore sconfinato che Ferry nutre per la popular music lo spinge ciclicamente verso l’arte della riformulazione trasgressiva e al tempo stesso impeccabile della forma-canzone.