Gli anni sono sessantanove ma solo per l’anagrafe. Perché Bryan Ferry è un personaggio fuori dal tempo capace di calarsi e essere perfettamente a suo agio in qualsiasi epoca. E la copertina del nuovo disco non potrebbe essere più chiara, uno scatto dei primi anni ’70 quando calcava i palcoscenici cantando These Foolish Things. Chiamatela vanità, ma lui può permettersela… E a chi gli ricorda i trascorsi epici con i Roxy Music ribatte che – in realtà – è l’attività «solista» a aver caratterizzato sempre più la sua carriera.

Con il recentissimo Avonmore (Bmg/Self) sono ben quattordici gli album licenziati in quattro decadi, tutti estremamente raffinati, curatissimi e popolati da una lista interminabile di musicisti e illustri guest a renderli spesso piccole opere d’arte, anche quando – ed è capitato – l’ispirazione sembrava un po’ latitare.
Non ci si stanca mai ascoltare quel modo di porgere la canzone che non sa mai di mellifluo ma seduce ad ogni nota, anche oggi – a cinque anni di distanza dall’altra raccolta di inediti Olympia. Sexy e avvicente sia quando affronta le cadenze dance dell’introduttiva Loop de li, sia quando si avventura nelle atmosfere più sognanti di A special kind of guy.

Otto brani nuovi di zecca e due rivisitazioni quanto mai lontane tra loro, Send in the Clown uno degli innumerevoli capolavori di Stephen Sondheim – lo portò al successo Judy Collins, ma la versione perfetta l’ha incisa Sarah Vaughan, e uno standard pop di inizi ’80, Johnny and Mary di un altro geniale dandy precocemente scomparso. Tanti gli ospiti – Nile Rodgers, Johnny Mar, Marcus Miller e in gustosi cameo appaiono anche Flea, Mark Knopfler e Maceo Parker.
Avonmore è il suo quattordicesimo album, pieno di collaborazioni e dalla produzione particolarmente curata. Diremmo quasi lussureggiante…. Qual è stato lo spunto per questa nuova collezione di canzoni?
L’idea era quella, nonostante i suoni ricercati, di scrivere brani che potessero ben funzionare negli show che propongo dal vivo con la mia band. Quindi non un’opera strutturata ma una vera e propria serie di canzoni dagli spunti differenti, perché volevo pezzi da aggiungere alla scaletta.

Dietro una carriera di successo e soprattutto longeva c’è uno stile personale che è diventato tendenza. Immagino si sia ispirato a personaggi e a stili particolari… 

A dire il vero a interessarmi più che la moda in passato sono stati gli abiti che uscivano dalle sartorie londinesi, fin da quando ero giovanissimo e abitavo nei dintorni di Newcastle. Andavo spesso al cinema ed ero affascinato dalle star che apparivano sul grande schermo: Fred Astaire, Cary Grant. Ma più spesso restavo stregato da quei magnifici abiti che indossavano con grande naturalezza. La stessa eleganza e lo stesso portamento che vedevo nei grandi musicisti dell’epoca, come Charlie Parker e Miles Davis…. Ancora adesso mi piacciono gli abiti che escono da una delle storiche sartorie inglesi, Savile Row di Anderson & Sheppard, una clientela che annoverava parecchie star degli anni d’oro di Hollywood.

Nel nuovo cd accanto a 8 incisioni inedite due cover, in particolare Send it the Clowns di Stephen Sondheim. Come si è avvicinato a questi standard?

Ascolto molta musica di quel periodo ed era da tempo che volevo confrontarmi con questo pezzo, che amo soprattutto nella versione fatta da Frank Sinatra…

E poi c’è Johnny and Mary, quasi un tributo a Robert Palmer che ha scritto pagine pop rock di grande intensità…

Ho conosciuto Robert negli anni ’80 a Nassau dove ero andato a incidere un disco e questo è sempre stato, del suo repertorio, il brano che più ho apprezzato. Trovo sia sempre stimolante confrontarsi con altri artisti, e negli ultimi tempi trovo che il mondo della dance e dell’elettronica sia decisamente molto avanti rispetto agli altri. Ad esempio mio figlio Isaac mi ha fatto conoscere Todd Terje e con lui ho lavorato tempo fa sui remix di Love is the drug e Don’t Stop the Dance. Un confronto elettrizzante così ho voluto invitarlo in studio e insieme abbiamo lavorato su Johnny & Mary. Ha un grande talento e uno stile intrigante e definito che lo contraddistingue nettamente rispetto ad altri produttori dance.

2roxymusic

Avonmore è il nome della strada dove si trova il tuo quartier generale. Che cosa significa per lei?

Moltissimo. E per sottolinearlo ancora di più ho voluto intitolare così anche l’ultimo pezzo dell’album…

Sette anni fa Dylanesque, un tributo al menestrello del rock. Lo scorso anno un disco strumentale con un gruppo di jazzisti che rivisitavano il suo repertorio. Sembra quasi che ogni tanto abbia voglia di prendersi una vacanza… da se stesso?

No (ride, ndr) piuttosto credo che esistano molte strade da percorrere nel mondo della musica e – almeno per quanto mi riguarda – mi è sempre piaciuto esplorare diverse situazioni. E questo sempre, sia nel corso della mia carriera ‘solista’ che con i Roxy Music.