Il Rapporto sulla sostenibilità fiscale 2015 prodotto dalla Commissione europea e pubblicato ieri è una medaglia a due facce, un bicchiere mezzo vuoto che si può anche vedere mezzo pieno. Dice che «non sembrano esserci rischi a breve termine di stress di bilancio», e questo per il governo,in particolare per chi lo guida, basta e avanza. La forza e la debolezza di Renzi stanno entrambe in questo: nel suo guardare sempre al breve termine, e poi dio provvederà.

Sui tempi non così brevi il verdetto è meno entusiasmante. L’Italia è uno dei Paesi a «rischi potenziali per la sostenibilità delle finanze pubbliche elevati nel medio termine». Va detto che la penisola è in folta compagnia. Si trovano nella stessa situazione altri 10 paesi: Belgio, Spagna, Francia, Croazia, Portogallo, Romania, Slovenia, Finlandia, Irlanda e Uk. Altre due nazioni, la Grecia e Cipro, non vengono contate perché già in fase di “salvataggio finanziario”.

Il ministero dell’Economia (Mef) non perde un secondo nell’impugnare il Rapporto, esaltandone ovviamente gli aspetti più consolanti: «Conferma ancora una volta che i conti pubblici italiani non presentano rischi nel breve termine e sono in assoluto i più sostenibili di tutti nel lungo termine». Però la mannaia resta sospesa, e si chiama debito pubblico. È quello l’aspetto di fragilità, «la principale fonte di vulnerabilità dell’economia italiana». Se tutto va bene la situazione economica dovrebbe reggere, ma in caso di urti, cioè di imprevisti, di tempeste che in arrivo da qualche altra parte del mondo o dell’universo finanziario, invece no.

Il Mef lo sa e mette immediatamente le mani avanti: «Il pesante debito pubblico rende il Paese più esposto in caso di shock esterni. Per questo motivo il governo ha programmato il debito in discesa nel 2016 e dopo 8 anni consecutivi di incrementi». Parole rassicuranti, che rassicurano fino a un certo punto. Dopo gli 8 anni in questione il debito sta per raggiungere il tetto del 133%. Il governo prevede per quest’anno l’inversione di tendenza e un arretramento del debito al 130% nel 2017. Sarebbe un risultato importantissimo per Renzi e Padoan, anche perché l’iniezione di fiducia sarebbe più che galvanizzante.

Però si tratta pur sempre di una previsione avanzata da chi ha tutto l’interesse nel vaticinare un futuro roseo. Il problema, infatti, non è rappresentato solo dalla minaccia di “shock esterni”. Ci sono altri guai, e grossi, segnalati dalla Commissione. Il debito alto espone il Paese al possibile rialzo dei tassi d’interesse dei titoli di Stato e soprattutto gli interessi, pari al 4,3% del Pil, riducono all’osso la posisbilità di investire dello Stato. Un limite che, a sua volta, ha pesanti conseguenze sulla crescita. E per mettersi davvero al riparo dalla minaccia incombente del debito pubblico, questa dovrebbe essere più sostanziosa di quanto il Mef preveda. Invece del 2,5% previsto per il 2017 dovrebbe attestarsi intorno al 3,8%, e poi non scendere più per una decina d’anni.

Tenendo conto che la previsione già insufficiente del governo è tutt’altro che garantita e che, anzi, sinora la palla di cristallo di palazzo Chigi e dell’Economia si è sempre dimostrata fallace per eccesso d’ottimismo, mai per difetto, si capisce perché la relazione di Bruxelles sia davvero una medaglia a doppia faccia, e quella negativa è tutt’altro che secondaria. Tanto che la percentuale di possibilità che fra quattro anni il debito pubblico italiano sia ancora più alto e non più basso di oggi è bassa ma non inesistente: 11%.

Il viceministro dell’Economia Morando, in linea con l’ottimismo d’ordinanza dell’intero governo, giura però di non essere affatto preoccupato. In fondo, «il documento dice quello che sapevamo già, che bisogna invertire la tendenza sul debito». Perché preoccuparsi per un rischio già noto?
Per la verità un rischio anche immediato la Commissione lo evidenzia.Lo stato di sofferenza del sistema bancario «potrebbe rappresentare una fonte importante di rischi di passività a breve termine». In questo caso la nonchalance del governo ha una ragione precisa: la convinzione che la chiave per risolvere quella sofferenza, la creazione cioè della bad bank, sia ormai davvero dietro l’angolo.