Economia

Bruxelles intima a Airbnb: «Stop alle pratiche sleali»

Bruxelles intima a Airbnb:  «Stop alle pratiche sleali»

Sharing economy La multinazionale Usa dell’home sharing ha tempo fino al 31 agosto per allineare i termini e le condizioni alle direttive Ue sulla tutela dei consumatori e la trasparenza dei prezzi

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 19 luglio 2018

La Commissione europea ha stabilito che Airbnb, la multinazionale americana dell’home sharing, ha tempo fino al 31 agosto per allineare i termini e le condizioni alle direttive dell’Unione europea in materia di tutela dei consumatori e trasparenza dei prezzi.

UN COLPO NON DA POCO per la piattaforma che si racconta come paladina della sharing economy al fianco della classe media, ma che di fatto prospera in una zona d’ombra normativa su cui ora la Commissione europea comincia a fare luce.

Secondo Bruxelles Airbnb non rispetta le direttive sulle pratiche commerciali sleali per quanto riguarda la presentazione dei prezzi e la mancata distinzione tra privati e professionisti che affittano alloggi ai turisti tramite piattaforma. Anche la modalità dei rimborsi, delle clausole sottoscritte e dei termini di condizioni di utilizzo sono oggetto di richiesta di modifica con un elenco di sette punti. Gli host che vogliono affittare la propria casa possono pubblicizzarla sul sito decidendo il prezzo da applicare, su cui Airbnb trattiene una percentuale. Di fatto però Airbnb suggerisce i prezzi agli host con la funzione «Prezzi Smart», generando una concorrenza al ribasso tra host a vantaggio della piattaforma.

IL PREZZO FINALE risulta spesso caricato di ulteriori spese e tasse al momento del pagamento. La Commissione ha stabilito che Airbnb deve indicare se gli alloggi sono di privati cittadini o di professionisti del settore, perché le due categorie sono soggette a regole diverse. Un punto quest’ultimo da tempo al centro del dibattito su Airbnb. La multinazionale si presenta come uno strumento che facilita le transazioni tra privati, ma di fatto la maggior parte degli annunci su Airbnb è riconducibile a operatori professionisti. Secondo uno studio di Federalberghi su dati Iniside Airbnb, oltre la metà degli annunci in Italia, il 56,77%, è di host con alloggi multipli.

OLTRE IL 70% DEGLI ANNUNCI è per interi appartamenti, quindi non spazi condivisi, disponibili per oltre sei mesi l’anno nel 76% dei casi, quindi non una fonte di un reddito semplicemente «extra». Se non è amica della classe media, Airbnb non è amica neanche delle città. A livello europeo molte città si sono coordinate nella neo-nata rete «Set» (Sud Europa Turistificazione) per contrastare il processo di turistificazione in atto. Il rapporto di Corporate Europe Observatory denuncia le pressioni esercitate da Airbnb sulla stessa Commissione europea a partire dal 2015, quando molte città hanno iniziato a introdurre regole e politiche abitative per tutelare gli affitti residenziali.

Così la European Holiday Home Association, di cui fa parte Airbnb, ha denunciato presso la Commissione quattro città, Parigi, Berlino, Barcellona e Bruxelles, e ha speso circa 500mila dollari per l’attività di lobbying. La richiesta della Commissione di maggiore trasparenza «è certamente positiva» fa sapere il Corporate Europe Observatory. «Tuttavia resta da vedere se riflette un cambiamento necessario verso una posizione più critica circa l’impatto negativo di Airbnb sulle città in Europa».

«L’OBBLIGO DI DISTINZIONE tra privati cittadini e operatori commerciali su Airbnb è il punto di collegamento più evidente tra il caso italiano e il pronunciamento della Commissione» secondo Alessandro Nucara, Direttore generale di Federalberghi. «Ci fa particolarmente piacere che si sia toccato questo tasto». L’obbligo di distinzione è già previsto in Italia dal decreto legge n.50 del 2017, che ha introdotto la cedolare secca sugli affitti brevi, e l’obbligo di comunicare i dati dei singoli contratti all’Agenzia delle entrate.

CONTRO QUESTA NORMA Airbnb ha fatto ricorso per ben quattro volte al Tar Lazio. All’ultimo parere negativo dell’8 luglio seguirà una sentenza definitiva il 17 ottobre prossimo. Per Airbnb la distinzione sarebbe tecnicamente impossibile da fare. Ma secondo Nucara «a prescindere da queste sentenze, da ben prima chi esercita il mestiere di intermediario è tenuto a sapere se ha a che fare con un privato o con un professionista: Airbnb deve fatturare le commissioni incassate, ma l’Iva da versare è diversa a seconda dei soggetti». Siccome Airbnb a quanto pare non riesce a distinguerli «per sua stessa ammissione al Tar, lo scorso anno ha omesso di versare la cedolare secca per 130 milioni di euro. La Ragioneria generale dello stato ha conteggiato infatti solo 30 milioni versati».

Per la combattere la normativa italiana Airnb adombrava la necessità di un ricorso presso la Corte europea. «Spero che dopo questa sentenza Airbnb avrà il buon gusto di cambiare argomento, perché la Commissione si è espressa in modo chiaro» commenta Nucara. «L’immagine amichevole di Airbnb risulta molto scalfita: il re è nudo».

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