C’è posta per Tria, anche se la lettera è indirizzata al direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. Il mittente è la Commissione europa, con la firma del direttore generale degli Affari economici e finanziari della Ue Marco Buti. Chiede una relazione, da consegnarsi entro il 13 novembre, che dettagli quali sono i «fattori rilevanti» che, per il governo italiano, giustificano la riduzione del debito «meno marcata» di quella prevista. A informare della nuova missiva è il Mef stesso, che assicura risposta entro la data indicata.

IN SÉ L’INVIO della lettera non è eccezionale. Si tratta di una procedura codificata e il Mef stesso segnala che richieste di chiarimento simili erano pervenute anche negli anni scorsi. A fare la differenza è il tono dell’epistola. Buti sottolinea che la diminuzione del debito sarà inferiore a quella indicata e auspicata dalla Ue, poi mette da parte i toni burocratici e attacca. Ricorda che un debito così alto «date le dimensioni dell’economia italiana è una fonte di preoccupazione per l’area euro». Quindi prende direttamente di mira la legge di bilancio, «in contrasto con l’aggiustamento raccomandato dal Consiglio» e «incompatibile con la necessità di ridurre in maniera risoluta il rapporto debito/Pil». Bruxelles, insomma, non abbassa il tiro. Mantiene altissima la tensione dopo alcuni giorni di apparente bonaccia.

IL NUOVO AFFONDO europeo non poteva cadere in un giornata peggiore. I dati Istat sul Pil del terzo trimestre 2018 sono poco confortanti. Crescita zero. Stagnazione. Un risultato deludente rispetto al previsto più 0,2% e che mette a rischio la crescita complessiva dell’anno fissata all’1,2% e che rischia di fermarsi all’1%. Anche se le accuse rivolte al governo di aver fermato la crescita dopo tre anni di lento ma costante miglioramento sono probabilmente infondate, dovendo le cause dello stop essere individuate piuttosto nella congiuntura internazionale, il dato rende ancora più improbabile la crescita dell’1,5% sulla quale si fondano i conti del governo per il 2019.

Una prima durissima reazione è arrivata da Confindustria, il cui capo economista Andrea Montanino profetizza per l’anno prossimo un aumento del Pil «ben al di sotto dell’1%». La mazzata la infligge però il presidente Vincenzo Boccia, mettendo sul banco degli accusati l’esecutivo: «Se nei prossimi mesi la crescita non ci sarà è colpa esclusiva di questo governo e della sua politica economica». Persino più preoccupante la reazione dei mercati. Lo spread, dopo la boccata d’ossigeno seguita al verdetto di Standard&Poor’s, ha ripreso a correre subito dopo la diffusione dei dati Istat per chiudere a 311 punti.

I GUAI NON FINISCONO QUI. Oggi è la giornata del risparmio e il fuoco di fila sarà fittissimo. La relazione più temuta è quella del governatore di Bankitalia Ignazio Visco . Potrebbe rincarare la dose rispetto a quanto già detto prendendo di mira anche lui il Pil 2019 sovrastimato ma, data la circostanza, si concentrerà anche sulle sofferenze bancarie e sul rischio che il permanere dello spread in zone alte renda la situazione insostenibile per l’intero sistema alla lunga ma già nei prossimi mesi, se non nelle prossime settimane, per Carige e Mps.

LA SITUAZIONE È COSÌ rapidamente tornata a essere difficile. Il governo spera di rompere l’isolamento in cui si trova puntando soprattutto sulla Germania, che tra i Paesi del nord sembra essere al momento la più preoccupata per la tensione tra Italia e Ue e dunque, almeno in apparenza, un po’ meno rigida degli altri Paesi «virtuosi». Giovanni Tria ha incontrato ieri a Berlino il ministro dell’Economia Scholz. Per l’ennesima volta ha provato a sostenere la strategia italiana, che punta alla crescita attraverso la manovra per ridurre così il debito. Ma sono giustificazioni già squadernate molte volte e sempre invano. Più che sulle parole l’Italia punta sull’allungamento dei tempi per i provvedimenti più importanti e costosi, che arriveranno in aula solo a gennaio, per migliorare la situazione dei conti. La Ue non si accontenterà. Solo una revisione, sia pur minima, del deficit potrebbe riaprire uno spiraglio. Ma ieri, dall’India, il premier Giuseppe Conte la ha esclusa: «Non rivediamo il 2,4%, ma è un tetto massimo e non lo supereremo».