Barroso, fosse per lui azzannerebbe. Voleva farlo mercoledì, con tanto di richiamo ufficiale e intimazione di portare il taglio del deficit allo 0,6% invece che allo 0,1% come da italica legge di stabilità. E’ stato fermato da Angela Merkel, per interposto Katainen. Si sa che il sacerdote finlandese del rigore quando parla Frau Angela se non scatta poco ci manca. La lettera è arrivata, ma in forma ammorbidita e interlocutoria. Ma quanto poco si sia rabbonito Barroso lo si è capito ieri, quando il presidente uscente della Commissione è sbottato pubblicamente prendendosela con il governo italiano per aver diffuso una missiva sulla quale pur campeggiava la dicitura «Strettamente confidenziale». La Commissione, ha ruggito, «non è favorevole alla pubblicazione di documenti». Renzi gli ha risposto per le rime, con uno dei suoi amati cinguettii:

«Pubblicheremo tutte le lettere e soprattutto tutti i dati economici dei palazzi di Bruxelles». A viva voce l’italiano rincara: «Sono stupito che Barroso sia sorpreso. La lettera era già stata pubblicata dal Financial Times e da un importante quotidiano italiano. Penso che in Europa sia finito il tempo delle lettere segrete». E’ una posizione “grillina”, ma anche sacrosanta, che rivela quanto Renzi sia consapevole di doversi giocare la partita equilibrando la flessibilità con il muso duro. La linea di Barroso e dei falchi porta dritta al commissariamento, dunque alla morte politica di Matteo Renzi. La sola carta vincente che il premier italiano può giocarsi è far capire all’Europa che lui è deciso a puntare i piedi, con tutti i rischi che ciò comporta. E’ l’atteggiamento che aveva annunciato mercoledì al Senato: «Ricordatevi che se noi abbiamo bisogno dell’Europa l’Europa ha altrettanto bisogno di noi». E’ la linea che ha spinto Angela Merkel e Katainen a raffreddare i bollori di Barroso. La versione “addolcita” del richiamo, infatti, per il governo italiano è tollerabile, tanto che Renzi, con la sua adorazione per la spavalderia, la liquida come un bruscolino nell’occhio: «Stiamo parlando di una differenza di uno o due miliardi. Possiamo metterli anche domattina. Uno sforzo piccolissimo». In realtà le cose non sono così facili. La lettera, firmata da Katainen e indirizzata al ministro Padoan, è davvero solo un «primo richiamo» ma non è morbidissima. Definisce i conti italiani «una significativa deviazione» dal percorso fissato. Ricorda che così «si violerebbero» gli impegni «richiesti dal braccio preventivo del patto di stabilità e crescita». Reclama delucidazioni sul «mancato rispetto del Patto di Stabilità per il 2015».

Soprattutto chiede di sapere come «l’Italia possa assicurare il pieno rispetto degli obblighi nelle politiche di bilancio previsti per il 2015». E lo vuole sapere subito: i chiarimenti «devono arrivare entro il 24 ottobre».

Arriveranno oggi stesso, ed è sin troppo facile prevedere cosa risponderà il governo italiano. Da un lato Padoan tornerà a segnalare i due «elementi congiunturali» che determinano una «situazione eccezionale», tale dunque da giustificare il mancato rispetto dei termini anche ai sensi delle norme europee: i tre anni consecutivi di recessione e una fase che, tanto per eccedere in understatement, verrà definita «ai limiti della deflazione». Dall’altro rivendicherà le riforme già portate a termine, in particolare quella del lavoro, e si impegnerà a procedere e ad accelerare sulla stessa strada. Né più né meno di quello che aveva chiesto questa estate a quattr’occhi Draghi a Renzi, mettendo per la prima volta apertamente in campo il commissariamento come alternativa. A rinforzare la posizione del governo italiano accorrono le istituzioni preposte, Bankitalia e il Quirinale, e certo non stupisce che in un momento simile facciano quadrato. Bankitalia promuove: «Data l’eccezionale durata e profondità della recessione, le scelte del Governo appaiono motivate».

Napolitano mette da parte l’irritazione esplosa quando si era visto recapitare una legge di bilancio non vidimata dalla Ragioneria dello Stato, per la prima volta dal 1994, e controfirma disciplinatamente. L’incognita resta il verdetto dell’Europa. Con Barroso non ci sarebbe scampo, ma la linea di Juncker è diversa anche se certo non opposta. La letterina è arrivata anche ad Austria, Slovenia e Malta. Ma soprattutto è arrivata alla Francia, ed è un punto di forza per Renzi. Che arrivi un semaforo verde è comunque un miraggio. Ma l’ipotesi che si richieda una correzione misurata, un taglio del deficit del 0,25 o dello 0,35%, è invece realistica. Però tanto graziosa concessione verrà probabilmente accompagnata da moniti ultimativi su quanto l’Italia dovrà fare l’anno prossimo. Renzi se la venderà come un trionfo: potrebbe essere il prologo di una nuova e pesantissima mazzata.