Le prime reazioni europee al cambio di governo in Italia sono, in tutta evidenza, prudenti. «Non conosciamo i piani di Renzi» ha affermato il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Disselbloem. Martin Schultz, presidente dell’Europarlamento, ha riassunto le aspettative comuni: «Non ci interessano i nomi dei ministri, l’importante è che il governo presieduto da Renzi sia stabile. Nella seconda metà del 2014 l’Italia avrà la presidenza dell’Unione, la crescita del paese significherà stabilità nell’Ue».

Bruxelles, in altri termini, attende che l’Italia realizzi delle riforme che permettano di recuperare la crescita nella terza economia della zona euro. In cambio, sembra pronta ad allentare un po’ la stretta: «Possiamo concedere più tempo in cambio di un piano di riforme», ha affermato Disselbloem. Il commissario agli Affari monetari, il guardiano dell’ortodossia Olli Rehn, teme che «il fallimento di Renzi potrebbe condurre l’Italia in un angolo dal quale sarebbe difficile uscire». Ma precisa: «È chiaro che tutto deve avvenire sotto il 3%» di deficit. Renzi non potrà quindi puntare su uno sfondamento del tetto e sul non rispetto degli impegni presi: l’Italia ha promesso il 2,5% di deficit per quest’anno (ma la Commissione calcola che sarà il 2,7%). Antonio Tajani, commissario all’Industria, è più possibilista: il 3% «non è gestito da un computer, ci sono fattori attenuanti che vanno valutati», il tetto «va interpretato in modo intelligente se Italia si presenta con riforme serie, con un piano di tagli alla spesa e di investimenti per la crescita«. Tajani ricorda che per Francia e Germania il piano fu sospeso nel 2003, quando fu chiaro che né Berlino né Parigi erano in grado di rispettarlo. François Hollande non è però riuscito – o non ha voluto, per timore di una punizione dei mercati – ad allentare i vincoli in questo periodo di recessione. Renzi riuscirà dove Hollande ha (finora) fallito?

A leggere il programma di Renzi sull’Europa, tra un omaggio a Mario Monti, che ha preso decisioni importanti «che vanno nella giusta direzione» e l’accettazione del Fiscal Compact che «va bene» poiché «pone vincoli alla tentazione di aumentare il debito», non si trovano proposte nuove, a parte la riflessione sul rigore imposto che «non affronta il problema di come far fronte a shock sistemici, come quello che stiamo attraversando, che si ripercuotono sulle finanze pubbliche» degli stati membri e che spinge a «lavorare» per arrivare a un «sistema di assicurazione reciproca», cioè «in ultima istanza» alla creazione di Eurobond. Renzi afferma che bisogna farla finita con la solita posizione – «ce lo chiede l’Europa» – e, pur cedendo alla banalità di puntare il dito contro i «burocrati di Bruxelles«, promette di battersi per «superare l’austerity come religione», per arrivare a un «nuovo sistema di vincoli che sia al passo con i tempi» e non più legato – 3% di deficit e 60% di debito – ai conti dell’inizio degli anni ’90, quando furono varati.

Renzi è estremamente prudente, molto di più delle proposte di alcuni gruppi di economisti, in Germania e in Francia, che stanno cercando di riformare l’Europa e la zona euro. Riprendendo le grandi linee del gruppo Glienicker, composto da economisti e giuristi tedeschi, un collettivo di economisti e sociologi francesi (tra cui Thomas Piketty, Pierre Rosanvallon, Xavier Timbeau, Laurence Tubiana) ha pubblicato un manifesto con una serie di proposte di riforma per far uscire l’Europa dalla crisi. «Una moneta unica con 18 debiti pubblici diversi sui quali i mercati possono liberamente speculare e 18 sistemi fiscali e sociali in concorrenza sfrenata gli uni contro gli altri non funziona e non funzionerà mai», scrivono. Condividere la sovranità monetaria e rinunciare alle svalutazioni competitive, senza strumenti economici, fiscali e sociali comuni, ha portato la zona euro in una zona di transizione insostenibile. Gli economisti fanno proposte concrete sull’armonizzazione fiscale, anche per lottare contro l’«ottimizzazione» delle multinazionali. Riprendono l’idea di economisti tedeschi sulla mutualizzazione dei debiti al di sopra del 60% e delineano un’unione politica con precise riforme istituzionali che permettano un funzionamento democratico, coinvolgendo i parlamenti nazionali in una Camera europea che dovrebbe fare le funzioni che oggi si arroga il Consiglio dei ministri.

Un segnale di distensione è venuto dalla Germania, con il rinvio da parte del tribunale costituzionale di Karlsruhe alla Corte di giustizia europea sulla delicata questione del programma di acquisto delle obbligazioni sovrane da parte della Bce. Un preludio verso una strategia economica comune? È una breccia che rischia di richiudersi se i capi di governo, Renzi compreso, pensano di cavarsela imitando la strategia britannica della linea Thatcher-Blair-Cameron.