Un’altra «linea rossa» è stata superata. Sono trascorsi appena quattro giorni da quando Martin Schulz ha definito l’arresto dei giornalisti di Cumhuriyet – l’ultimo giornale d’opposizione rimasto in Turchia – come il superamento «dell’ennesima linea rossa contro la libertà di espressione» in quel paese, ed ecco arrivare la notizia dell’arresto dei deputati del partito democratico dei popoli (Hdp), preceduta dalla conferma di altri due arresti, riguardanti questa volta i due sindaci di Diyarbakir, la capitale curda nel sud est dell’Anatolia. «Un segnale agghiacciante dello stato del pluralismo in Turchia», commenta il presidente del parlamento europeo. «Ci aspettiamo che la Turchia salvaguardi la sua democrazia parlamentare, così come il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto», gli fa eco la rappresentante della politica estera dell’Unione europea Federica Mogherini, che ha anche telefonato al ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. Per l’ufficio diritti umani dell’Onu, invece, quanto sta accadendo sta andando «oltre ciò che è ammissibile».
L’Ue ha più di un buon motivo per guardare con timore alle notizie in arrivo da Ankara. Alla preoccupazione per le conseguenze dell’ennesimo atto di repressione attuato da Recep Tayyip Erdogan si somma quella, sempre più concreta, di vedere saltare l’accordo sui migranti siglato a marzo con Ankara e caposaldo, insieme al migration compact, degli sforzi di Bruxelles per fermare i flussi verso l’Europa.

Non ci sono dubbi, infatti che quell’accordo sia sempre più in bilico. Da mesi Erdogan chiede all’Ue la liberalizzazione dei visti consentendo così ai turchi di girare liberamente nell’area Schengen. Richiesta che fa parte dell’accordo di marzo e che Bruxelles si è sempre detta pronta a soddisfare a patto che Ankara risponda ai 72 criteri richiesti per la sua approvazione. Finora ne sono stati soddisfatti 67 e secondo il commissario per l’immigrazione Dimitri Avramopoulos non ci sarebbero problemi neanche sugli ultimi cinque se non fosse che tra questi c’è la richiesta di modificare la legge contro il terrorismo, giudicata da Bruxelles niente di più che un espediente per cancellare l’opposizione interna. Punto su quale Erdogan non intende però cedere.

La questione per l’Unione è ormai diventata imbarazzante. Non passa infatti praticamente giorno senza che Ankara minacci di far saltare tutto. «La nostra pazienza sta finendo», ha avvertito due giorni fa Cavusoglu. «Se non verrà concessa la liberalizzazione dei visti non aspetteremo la fine dell’anno per sospendere l’accordo». E prima di lui minacce analoghe sono arrivate dallo stesso Erdogan che ha anche accusato la Germania di essere «diventata un posto dove i terroristi si rifugiano» dopo che Berlino non ha escluso di non concedere l’estradizione di alcuni oppositori.

Il giorno in cui tutti i nodi arrivano a pettine potrebbe non essere lontano. Salvo slittamenti diplomatici (già verificatisi in passato), la Commissione europea dovrebbe presentare la prossima settimana l’annuale rapporto sui Paesi dell’allargamento in cui verranno presentati anche gli sviluppi raggiunti dalla Turchia. Visto quanto accaduto nelle ultimi giorni per quanto riguarda rispetto del pluralismo e dei diritti umani e libertà di stampa, difficilmente i risultati potranno essere positivi. Altri elementi contribuiscono poi a rendere più complicate le cose. Entrambi i contendenti non possono fare infatti passi indietro senza rischiare di perdere la faccia.

Erdogan, che non vuole cedere sulla normativa anti-terrorismo, deve anche rispettare la promessa fatta ai suoi cittadini sui visti. Bruxelles non può concedere la liberalizzazione dei visti se prima Ankara non si allinea ai principi dei democrazia che sono alla base dell’Unione europea. Non a caso ieri i ministri degli Interni di Austria, Cechia e Slovacchia hanno chiesto a Bruxelles di prepararsi a far fronte alle conseguenze di un eventuale fallimento dell’accordo sui migranti.