Anche Georgia e Moldavia hanno firmato ieri gli Accordi di associazione e il Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (Dcfta), un’intesa sul libero scambio, con l’Ue. Il passaggio era scontato, ma la rapidità con cui Bruxelles sta cercando di agganciare Kiev alla sua orbita ha accelerato anche il percorso delle due ex repubbliche sovietiche. Al vertice della Eastern Partnership, tenutosi a Vilnius a novembre, Tbilisi e Chisinau avevano «parafato» gli accordi.

Era stata sancita soltanto la volontà di renderli efficaci, al momento opportuno. L’Ucraina, invece, li aveva rifiutati. Fu la scintilla che fece esplodere la protesta contro Yanukovich. Il resto è storia nota: protesta, rivoluzione, conflitto civile e confronto serrato tra Russia e Ue. Con quest’ultima che ha inclinato il piano al punto da permettere a Kiev di agguantare l’obiettivo dell’associazione più sulla base di ragioni politiche che di prontezza normativa. Georgia e Moldavia non potevano rimaner indietro.

Gli accordi offrono a Tbilisi e Chisinau la possibilità di esportare in Europa i propri prodotti, con progressiva riduzione dei dazi. Parallelamente ne aprono i mercati alle merci comunitarie, sebbene molto gradualmente. La pressione dell’export europeo potrebbe danneggiare alcuni settori, specie l’alimentare. I protocolli appena vergati toccano altre questioni tecniche. Ma il vero punto è che si va creando una saldatura tra i destini di Kiev, Tbilisi e Chisinau. Questo non significa che ci sarà un assorbimento nelle strutture europee.

L’adesione è attualmente una chimera. Eppure s’è tracciata una linea. Da una parte l’Europa ha fatto capire che non intende battere in ritirata, nell’ex spazio sovietico. Dall’altra Georgia e Moldavia, alla stregua dell’Ucraina, hanno espresso la volontà di approfondire il rapporto con Bruxelles.

Come reagirà Mosca? Georgia e Moldavia, dal punto di vista della Russia, non hanno la valenza strategica dell’Ucraina. Ma non si può escludere che scattino contromisure, dato che Mosca percepisce gli Accordi di associazione come incompatibili con l’area di libero scambio che, con la sua regia, sta prendendo forma nell’arco post-sovietico.

Il Cremlino ha diverse leve da azionare. Una è l’energia. La Moldavia è fortemente dipendente dalla forniture russe. Una contrazione dei flussi potrebbe metterla all’angolo. La Georgia, invece, importa poco dalla Russia. Il fabbisogno è garantito dal vicino Azerbaigian. Mosca può comunque metterla in difficoltà manovrando le pedine dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud, le ex province ribelli georgiane rese indipendenti da Mosca con il conflitto del 2008. Una Georgia instabile, tra l’altro, complica i piani energetici occidentali. La repubblica caucasica la cerniera che assicura il transito del petrolio azero verso la Turchia. Le contese territoriali influiscono anche sulla tenuta della Moldavia, la cui entità separatista, la Transnistria, è controllata da Mosca.

A questo s’aggiungono le pulsioni della Gagauzia, regione di fede ortodossa e lingua turcomanna, che nei mesi scorsi s’è espressa per via referendaria contro la firma degli Accordi di associazione e libero scambio tra Chisinau e Bruxelles.

Infine il commercio. L’economia di Moldavia e Georgia, soprattutto la seconda, è legata agli scambi con la Russia. Mosca può imporre sanzioni e restrizioni. Lo ha già fatto con i vini, pezzi pregiati dell’export di entrambi i paesi.
Quelli georgiani sono tornati a circolare sul mercato russo l’anno scorso, dopo un’assenza di cinque anni. Su quelli moldavi è stato applicato l’embargo a novembre.