Non è facile determinare se la grandezza, o la mancata grandezza, di un musicista dipenda di più dal periodo storico in cui ha agito o dalle caratteristiche della sua intelligenza, del suo talento, della sua attitudine compositiva. La figura di Bruno Maderna, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, è un esempio eloquente del dilemma: era nato solo pochi anni prima di Luigi Nono, Pierre Boulez, Luciano Berio – anni sufficienti, tuttavia, a tracciare un solco tra lui e la generazione di compositori che hanno rivoluzionato la musica del secondo Novecento. I quattro o cinque anni che separano Maderna dagli enfants terribles della tabula rasa e del serialismo integrale, infatti, gli hanno permesso di raggiungere la sua maturità artistica prima che la guerra mettesse a soqquadro ogni convinzione estetica, ogni punto di riferimento morale, ogni visione filosofica e politica. Travolto, come tutti, dagli avvenimenti del suo tempo, Maderna si ritrovò tuttavia abbastanza adulto da poter scegliere da quale parte stare, unendosi al movimento partigiano.

Per la commistione degli stili
Per giovani come Nono, usciti dal marasma della guerra nella confusione di una Venezia da ricostruire interamente sul piano spirituale e nelle sue articolazioni culturali, fu un fratello maggiore più che un maestro. La sua mano sicura, erede di un artigianato musicale di altissimo livello appreso a Venezia da Gian Francesco Malipiero e a Roma da Alessandro Bustini, ha fornito un punto d’appoggio per i più giovani, che lo ripagarono trascinandolo nel vortice del rinnovamento europeo dell’immediato dopoguerra. Epicentro del terremoto linguistico erano i Ferienkurse di Darmstadt, città nella quale Maderna decise di trasferirsi all’inizio degli anni Cinquanta; ma il vero tema sovversivo era allora la scoperta della musica elettronica, stimolata dalle ricerche di due compositori ancora più giovani, Karlheinz Stockhausen e Pierre Henry. Maderna si gettò in questo nuovo e inesplorato mondo con entusiasmo, com’era nella sua travolgente natura, e insieme a Berio lanciò l’idea di uno Studio di fonologia musicale, che la sede Rai di Milano istituì nel 1955, sia per esperimenti di musique concrète, sia per composizioni di musica elettronica pura, sulla falsariga dei due maggiori centri di ricerca europei di Parigi e di Colonia.

Maderna, tuttavia, non recise mai del tutto i legami con la tradizione, anzi predicò insistentemente l’importanza di mescolare la nuova musica con i lavori del passato: molto prima che si profilasse all’orizzonte il pensiero postmoderno, rivendicò nella commistione degli stili la caratteristica forse più rilevante e originale del nostro tempo. La sua scarsa attitudine alla formulazione teorica dei problemi estetici, linguistici, musicali affrontati nel lavoro compositivo si evidenzia nella esiguità di testi lasciati, al paragone con i più giovani e prolifici Boulez, Stockhausen, ma anche Nono e Berio, il che non testimonia affatto, com’è ovvio, della sua mancanza di argomenti o del fatto che fosse sprovvisto di mezzi per esprimerli in forma linguistica. L’ampiezza e la varietà degli interessi di Maderna, alimentati da un’irrequieta curiosità intellettuale e da una cultura tutt’altro che superficiale, sono ben note a chiunque abbia avuto la fortuna di frequentarlo. C’era piuttosto in lui un residuo dell’antica idea romantica secondo la quale «la musica si muove nella sfera laddove la parola cessa di poter significare qualche cosa». La citazione è tratta da un corposo volume che finalmente colma la lacuna su questo aspetto del musicista veneziano, Bruno Maderna, amore e curiosità Scritti, frammenti e interviste sulla musica (a cura di Angela Ida De Benedictis, Michele Chiappini, Benedetta Zucconi, Il Saggiatore, pp. 877, € 65,00).

Affiancata da un paio di giovani ricercatori che hanno dimostrato in precedenza dimestichezza con gli archivi del contemporaneo, Ida De Benedictis, forte dell’analogo lavoro sugli scritti di Nono e di Berio che in molti punti s’intersecano con quelli di Maderna, è riuscita a conferire una struttura logica alla caotica congerie di materiali provenienti dalle fonti più disparate e nati in contesti estremamente diversi.

Ritratto di un uomo non effimero
Viatico del libro è una frase di Maderna datata 1972, poco prima della sua precoce scomparsa: «…insisto nel dire che i musicisti dovrebbero fare a meno di parlare», in perfetta contraddizione con le letture più entusiasmanti del volume, quelle interviste in cui Maderna si apre all’interlocutore con grande fiducia e un piacere tutto veneziano per l’arte della conversazione, toccando una miriade di argomenti, musicali e non, con arguzia, ironia, acume interpretativo, e una lucida capacità di sintesi.
Enfant prodige della direzione d’orchestra e della composizione, costantemente in affanno affinché nulla gli sfuggisse di quanto era godibile nella vita, bruciò tutte le tappe fin da ragazzo e andò incontro alla morte molto prima del lecito. Scrivere, forse, era per lui uno spreco di tempo, dunque raccontava preferibilmente le proprie idee, sfruttando i tempi morti del lavoro quotidiano e soprattutto prodigandosi nel condividere il suo amore per la musica. Ora, finalmente, questo libro lo redime dal rischio dell’effimero, e consegna alle future generazioni il ritratto di una mente libera, aperta, rizomatica e soprattutto incredibilmente attuale.