Di persona era – per sua stessa ammissione – di un’estrema timidezza tanto che sul piccolo schermo con i baffetti, gli occhiali spessi un dito e il canonico abito scuro da ‘maestro di cerimonie’, annunciato da Paolo Panelli, si «nascondeva» quasi dietro l’orchestra. Bruno Canfora, morto sabato scorso all’alba delle 92 primavere, non è stato solo il grande direttore d’orchestra negli storici show Rai, ma è stato anche autore di decine di successi entrati nel canzoniere dell’Italia di quegli anni e che ancor oggi si ricordano per eleganza e eccelsa qualità compositiva.

Nato a Milano nel 1924, Canfora aveva alle spalle una solidissima preparazione con studi di oboe e pianoforte al conservatorio. E proprio la formazione classica nel suo passaggio graduale al mondo della canzone cosiddetta ‘leggera’, sarà fondamentale. Certi passaggi armonici accanto a sontuose aperture orchestrali rendono brani di per sé solidi – pensiamo a Brava o Mi sei scoppiato dentro al cuore, per restare circoscritti alla sua artista prediletta, Mina, alla stregua di piccoli capolavori.

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La gavetta è dura, a Trieste dopo la guerra accompagna con l’orchestra le compagnie di rivista, nei cinquanta è direttore stabile dell’orchestra Ice Folies di Garmisch in Baviera, per entrare nella discografia come direttore artistico della Fonit Cetra. Poi tanta radio, qualche colonna sonora e i primi successi come autore: Rome by night (1958) e Luna timida (1959). Ma il successo arriva grazie all’incontro con Antonello Falqui che gli affida per tutti i sessanta la direzione dei suoi celebri show, da Canzonissima (quella del 1959 con Nino Mandredi, Paolo Panelli e Delia Scala) a Studio Uno.

Sono anni di grandi successi discografici, brani entrati nella memoria popolare e presenza costante delle teche Rai. Da Dadaumpa, La notte è piccola per noi, Quelli belli come noi…, affidato al «sogno» proibito degli italiani, le gemelle Kessler (1962-1969) passando al Il ballo del mattone, Il geghegè e l’avvolgente Fortissimo, evergreen di una giovanissima Rita Pavone. A Sanremo va con Shirley Bassey che interpreta una splendida La vita (1968), mentre dell’anno prima è la celeberrima Stasera mi butto per Rocky Roberts.

Ma è con Mina che Canfora trova l’interprete ideale. La voce della cantante cremonese è creta pura su cui plasmare le armonie di brani leggeri ma complessi: dall’esercizio di stile di Brava (1966), in cui la Tigre dà saggio di fluidità timbrica impressionante e grazie ai suggerimenti di Canfora, raggiunge una maturità e una padronanza totale del proprio strumento.

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Ma più che su Brava la perfetta fusione tra Canfora e Mina si palesa in Sabato notte (1962, testo di Dino Verde), in cui il piglio jazzistico modernissimo (è uno dei brani sottoposti in tempi recenti a remix in discoteca), rendono il canto di Mina swing. Canfora lascia il mondo dello spettacolo nel 1995, l’ultima sua apparizione televisiva sempre in quell’anno è in Papaveri e papere con Baudo e Magalli.