Più unico che raro, in Italia, un giornalista sportivo divenuto un personaggio di romanzo e costui era Bruno Bernardi, morto ieri a Torino settantanovenne dopo una lunga malattia. La sua carriera, quasi mezzo secolo a La Stampa fino al 2011, prima da redattore poi da inviato e infine da editorialista, si era a lungo accompagnata a quella di uno straordinario outsider, Giovanni Arpino, che infatti egli riteneva suo maestro e compagno di via.

È ARPINO A CREARE il mito di Bernardi facendone l’alter ego autobiografico e insieme il deuteragonista di Azzurro tenebra (1977), un romanzo sul calcio che rimane in ogni senso unico nella nostra letteratura, ambientato ai Mondiali tedeschi del ’74, dove il gioco diviene allegoria di un paese già sfigurato sotto il punto di vista etico-politico e in sostanza fallito: fra Monaco di Baviera e Stoccarda, tra i castelli di Ludwig il re folle e il fiume Neckar caro a Holderlin, «Arp», malinconico doppio del Chisciotte, dialoga sui massimi sistemi del calcio e del mondo con il complice «Bibì», un Sancho scafato e ubiquitario nel cui acronimo si cela per l’appunto la figura di Bernardi. Il quale ama celare il proprio stile in una prosa asciutta, d’altri tempi, dal segno incisivo, veloce nel ritmo, refrattaria agli stereotipi e alle demagogie del gergo sportivo e specialmente calcistico: restano leggendarie le sue minute autografe, appunti e stenogrammi volatili che tuttavia coagulavano in pagina e a comando.

IL CALCIO, segnatamente alla storia dei club torinesi, la Juventus e il Torino, da intenditore (era un ex giocatore dilettante) ha dedicato decine di pubblicazioni, pure se il volume che più lo rappresenta, purtroppo mai riproposto, è dedicato all’antieroe eponimo del nostro calcio, il grande Luigi Riva: nel ’77, dopo il ritiro del campione, il volume esce direttamente negli Oscar Mondadori con la prefazione del sodale di sempre e lì Arpino scrive di Bernardi: «Un mio fratello giovane, un compagno di tremila viaggi, diecimila partite, milioni di discussioni Bruno Bernardi è la cronaca, la incarna. Ignora i voli, o forse li spregia. Non vuole inventare. Non gliene importa un classico fico secco dell’interpretazione bene oliata e in ogni caso abusiva».

ERA UNO STILE, infatti, che Bernardi duplicava negli interventi radiotelevisivi con la voce da crooner ben nota agli appassionati. A Torino, in tribuna stampa, preferiva sedersi tra vecchi compagni prima che colleghi (come il siciliano Salvatore Lo Presti, firma storica del Corriere dello Sport), e sorrideva guardando ai più giovani concentrati sullo schermo del pc piuttosto che sul campo da gioco: non si sdegnava, nemmeno li criticava, ma più semplicemente soffriva per loro, travolti, accecati dall’eccesso di stimoli e di immagini. Per essere un Sancho, era un uomo di grande eleganza, l’eterna sigaretta, un trench d’altri tempi: «Bibì» in effetti somigliava a Bogart.