Il sultano del Brunei ha fatto una mezza marcia indietro dopo le proteste seguite al suo annuncio di fine marzo sull’entrata in vigore di rigidissime punizioni legate alla sharia, adottata dal Brunei nel 2014.

Tra le nuove pene previste, quelle che hanno suscitato maggior clamore riguardavano la pena capitale per omosessuali e adulteri: scudisciate o lapidazione fino alla morte. Hassanal Bolkiah, sultano di un piccolissimo Paese musulmano di 420mila anime su 5.700 kmq incastonati nel Borneo settentrionale, è un uomo il cui patrimonio personale è stimato in 20 miliardi di dollari e che possiede tra l’altro diverse catene di alberghi. È davanti a quegli alberghi che la comunità Lgbt ha cominciato a protestare, seguita da Amnesty e da star come Elton John e George Clooney: una brutta pubblicità.

Le pressioni sono arrivate anche dalla diplomazia e in un momento in cui nella vicina Malaysia (gli abitanti del Brunei sono per il 66% malesi) il governo ha deciso in novembre di abolire la pena di morte per 33 reati compreso l’omicidio mentre una donna è tra gli amministratori della sharia e, per la prima volta, sente – in caso di divorzio – anche il parere delle mogli.

La marcia indietro riguarda l’applicazione ma non la condanna. Il sultano ha infatti esteso la moratoria sulla pena di morte (che non si esegue dal 1957) anche a quelli che comunque continuano a essere ritenuti atti illegali. Il reato rimane, la pena è sospesa. L’omosessualità era già fuori legge in Brunei e punibile fino a 10 anni di carcere. Approfittando dell’inizio del Ramadan, in un discorso televisivo – il primo in cui il sultano ha messo la faccia parlando della sharia – Bolkiah ha detto di esser consapevole che «ci sono molte domande e percezioni errate sull’attuazione del nuovo codice penale». Stupro, adulterio, sodomia, diffamazione del Profeta comportano la pena capitale. Le lesbiche sono punite con 40 colpi di bastone e fino a 10 anni di carcere. La punizione per il furto è l’amputazione.