Una nuova economia basata sul riciclo e riutilizzo dei materiali che allontani il Paese dalle emergenze e stronchi sul nascere gli appetiti della criminalità organizzata che da tempo ha capito che i rifiuti sono una miniera di soldi. Gli incendi presso gli impianti di trattamento dei rifiuti, che continuano a divampare lungo la nostra Penisola, raccontano bene quali siano gli interessi in campo e quanto le emergenze facciano comodo alle ecomafie. Per questo bisogna evitare annunci e spacconate così care al Ministro Salvini che in Campania, una delle terre più martoriate anche sul fronte dei rifiuti, ha annunciato la costruzione di nuovi termovalorizzatori. Bruciare i rifiuti, significa rimanere ancorati ad un’idea di gestione legata al ‘900, vecchia di decenni. Soprattutto, tenendo ferma la tutela e la salvaguardia dei cittadini, significa anche non aver capito quanto sia profondo l’intreccio tra l’ambiente e il mondo economico, dello sviluppo sostenibile, dell’innovazione e del lavoro.

E’ per questo che il Paese ha bisogno di altro. Ed è per questo che i vicepremier, Salvini per un verso e Di Maio per l’altro, sbagliano. Il solo slogan ‘rifiuti zero’ (che nulla di buono ha prodotto a Roma) o bruciare la spazzatura (e per giunta in ‘nuovi’ impianti) non risolvono la situazione. Anzi la acuiscono sia sul piano politico che su quello operativo. Il Paese ha bisogno di una strategia ambientale per la corretta gestione dei rifiuti che rispecchi i principi dal respiro europeo. Ha bisogno dell’economia circolare, quella che riesce a offrire una seconda vita ai rifiuti trasformandoli in nuova materia, ad innescare filiere industriali legate al riuso, al recupero, al riciclo. Su questo, il recepimento del pacchetto Ue sull’economia circolare metterà a disposizione tutti gli strumenti necessari.

L’accordo, in sintesi, prevede il 65% di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani al 2035, con target intermedi del 55% al 2025 e 60% al 2030. Per raggiungere questi obiettivi ci si dovrebbe concentrare sugli impianti ‘giusti’: quelli di compostaggio per esempio per smaltire la frazione organica dei rifiuti urbani. Minimizzare lo smaltimento in discarica, rendendolo più oneroso e lavorando anche per le discariche su innovazione e qualità rendendole funzionali alla sola frazione residuale di un ciclo che punti prima alla riduzione e poi al recupero totale dei materiali. E non sarebbe male sostenere l’intero processo con una semplificazione burocratica e norme ad hoc; come per esempio i decreti sul fine vita dei rifiuti, i così detti decreti ‘end of waste’, che dovranno dirci quando un rifiuto smette di essere rifiuto, per poter diventare una materia prima seconda. Un provvedimento atteso da tempo che però giace tutt’ora nei cassetti del ministero dell’Ambiente, e che riuscirebbe, in un sol colpo, a sbloccare tante filiere dell’economia circolare.

Insomma i rifiuti, se gestiti correttamente, diventano una risorsa. Si tratta di un processo che deve però cominciare a monte, con una riduzione della spazzatura prodotta; e che naturalmente deve proseguire con una raccolta differenziata di qualità (l’Italia ha dei picchi di raccolta al livello delle migliori realtà europee insieme a zone del Paese con percentuali ancora troppo basse). Anche i beni di consumi devono entrare a far parte di questo modello, fin dalla loro fase di ideazione e progettazione in cui si deve tener conto che prima o poi dovranno essere smaltiti.

Per rendere armoniosa questa ricetta, un passo obbligato da compiere è coinvolgere i cittadini all’interno del processo di decisione: il dibattito pubblico (informazione e conoscenza), dal momento che qualsiasi scelta ricade sulla popolazione, diventa un aiuto alla condivisione.

Il Governo si metta al lavoro, ma prima si metta a studiare e al di là degli slogan e degli annunci risolva i problemi dei cittadini senza riportarci nel passato e dando risposte serie ai territori.