Il clima di azma (crisi) che ha vissuto l’Egitto in questo anno di presidenza islamista è esploso ieri. Le manifestazioni tra sostenitori e oppositori di Mohammed Morsi sono finite in scontri violenti con morti e centinaia di feriti. La rivoluzione del 1919, partita come movimento dei lavoratori, fallì completamente nel dare slancio ai giovani egiziani, soffocati nel nazionalismo di Saad Zaghloul e re Farouk. Il movimento sociale del 2011 ha rafforzato e poi mortificato la società civile egiziana e neppure ha contribuito a ristrutturare lo Stato che continua a manifestarsi in un insieme di pratiche ingiuste e discriminatorie.

Decine di migliaia di egiziani si sono raccolti al Cairo e Alessandria per opporsi alle migliaia di Fratelli musulmani che hanno iniziato le loro manifestazioni dalla grande moschea Raba al-Adaweya dal quartiere Medinat Nassr. Lo sheykh Safwat Hegazy ha preso la parola e ha provocatoriamente inveito: «Chi è morto nei giorni scorsi? (in riferimento all’uccisione di un esponente dei Fratelli musulmani a Zagazig nel Delta del Nilo, ndr), il presidente deve adottare il pugno di ferro contro questi attacchi».

Le opposizioni invece hanno marciato verso piazza Tahrir, incontrandosi in vari punti dei quartieri di West el-Balad, Abdin e Sayda Zeinab. Il sindacato dei giornalisti ha indetto una marcia da via Champollion a piazza Tahrir. In un comunicato, si criticano i limiti alla libertà di espressione, presenti nella nuova Costituzione, e le norme che permettono la detenzione di giornalisti. Non solo, si fa riferimento al fiorire di canali televisivi salafiti che diffondono messaggi settari (pochi giorni fa sono stati uccisi 4 sciiti a Giza da una folla inferocita) e ai limiti imposti alla stampa critica verso gli islamisti. Due tra i leader delle opposizioni Amr Moussa e Mohammed El Baradei hanno chiesto elezioni anticipate, condannando le violenze.

Tahrir era di nuovo chiusa al traffico e quattro aerei militari la sorvolavano, come nei giorni della rivoluzione. «Il 30 giugno scenderemo in tutte le piazze Tahrir del paese», spiega Sayed Gharib, uno dei coordinatori di Tamarrod (Ribellione, ndr). «Faremo disobbedienza civile. Non sarà una seconda rivoluzione, ma il completamento di un ciclo, rimetteremo la rivoluzione sulla strada giusta». Nel quartier generale di Tamarrod nel centro del Cairo si è lavorato senza sosta per conteggiare e archiviare le schede sin qui raccolte. La prima sede era stata presa d’assalto con lanci di molotov, per azzerare le schede firmate. «Ufficialmente abbiamo raccolto 15 milioni di firme», fanno sapere dal comitato centrale. «Quando i Fratelli musulmani sono arrivati al potere c’erano crisi da risolvere e sono stati capaci solo di produrne altre», proseguono.

Ad Alessandria il primo assembramento è partito dalle porte della moschea Qaet Ibrahim dopo la preghiera del venerdì, mentre i canti contro Morsi hanno echeggiato lungo la Corniche. Ma una volta superata la grande Università della città costiera, sono scoppiati scontri tra pro e anti Morsi. La sede del partito dei Fratelli musulmani, Libertà e Giustizia, nel quartiere di Sidi Gaber, è stata data alle fiamme. Si conta un morto e quasi 200 feriti, colpiti principalmente da proiettili a pallettoni. Oltre a quella di Alessandria sono state incendiate le sedi della Fratellanza a Sharkeyia e a Beheira nel Delta del Nilo, dove hanno avuto luogo gli scontri più duri.

Se durante le rivolte a bruciare erano le stazioni della polizia, simbolo della corruzione dello stato, a bruciare ora sono le sedi della Fratellanza. E i funerali di poliziotti e militari si trasformano in proteste antigovernative. L’islamismo politico sta perdendo la credibilità che la storia gli aveva conferito, non rispondendo adeguatamente alla crisi che colpisce stato e società in Egitto.