Arrivano sul palco intonando ‘O sole mio, il concerto di giovedì a Napoli di Bruce Springsteen e la E-Street Band è stato come tradizione un’esplosione rock, un viaggio nelle musica e nelle storie degli Usa ma anche un dialogo con la terra dei nonni materni, della vicina Vico Equense: “Sono un uomo del sud” urla ai fan. Dal pubblico arriva di tutto: l’immagine in bianco e nero del vecchio ristorante dei parenti (“Avrei potuto fare il cameriere lì” replica mentre guarda divertito la foto sgranata), soprattutto suggerimenti sui brani da inserire in scaletta, scritti su pezzi di cartone. Quando gli passano “My love Rosalita in here” il Boss risponde “Rosalita non l’abbiamo mai, mai, e dico mai fatta in mezzo a uno show, ma stasera la facciamo”, il primo di infiniti stravolgimenti di scaletta. Il repertorio comincia con Long walk home: al sax c’è Jack Clemons, nipote di Clarence, morto un paio di anni fa, e poi tutte d’un fiato My love will not let you down, Out in the street e Hungry hearts cantata dal pubblico da solo.

Lo spettacolo era cominciato già alle 18: Springsteen sbuca dal backstage chitarra acustica e armonica, “You are my people” grida ai fan prima di attaccare This hard land e Growin’ up, dal disco d’esordio Greetings from Ashbury Park. “Tutto bene? Ci vediamo dopo” e torna dentro, l’appuntamento con 20mila spettatori è per le 20.20. Al ritorno sul palco lo segue una big band in grande stile, fiati, percussioni, coristi a supportare uno spettacolo che vola per tre ore senza soste. We take care of our own, subito dopo Wrecking ball con la chitarra elettrica e il violino di Soozie Tyrrell e Death to my hometown, con le atmosfere country. Perché il viaggio nell’anima degli States è a cifra dei testi e della musica. Così come un predicatore battista intona “We make same magic, can you feel it?” prima di gettarsi in Spirit in the night. Le luci si spengono, resta solo la chitarra di Little Steven ad accompagnare l’armonica del Boss per una intensissima The river.

Arriva la pioggia e il ritmo sale di nuovo con Prove it all Night e Radio Nowhere (anche questa tra i desiderata del pubblico). La band si stacca dal palco e va in corteo sotto ombrelli colorati lungo la passerella sospesa sulla pit lane: lo spazio per 2.500 fan a diretto contatto con Boss. Trasportano la piazza a New Orleans per una strepitosa versione di Pay me my money down supportata da Nils Lofgren al banjo, praticamente l’inno dei precari. Strepitosa anche Shackled and drawn con tutta la band che balla. Su Waitin’ on a sunny day la prima incursione sul palco: un ragazzino commosso fino alle lacrime viene issato sullo stage per cantare il ritornello sulla spalla di Springsteen.

Succederà ancora con Dancing in the dark: prima una bionda fa un giro di ballo col Boss poi sarà la volta di una bruna alla chitarra e ai cori. Immancabile l’omaggio ai Creedence Clearwater Revival con Who’ll stop the rain. Una serie di brani (The rising, Badlands, Land of hope and dreams, People get ready) portano il live al gran finale con le hit più famose: My Hometown dedicata a Vico Equense, Born in the Usa e Born to Run. Con Tenth Avenue freeze out arriva l’omaggio a Clarence Clemons: sui maxischermi passano le immagini della band dagli inizi, trent’anni di storia con Big Man al sax. I saluti partono sul medley rock-latino di Twist and shout e La Bamba. L’addio al pubblico è affidato a Springsteen da solo che canta lo stesso brano con cui chiuse il concerta partenopeo al teatro Augusteo nel 1997: chitarra e armonica, il sipario scende su Thunder road.