All’amico lettore Thomas Browne confidò di aver buttato giù alla rinfusa certe sue «confessioni, concepite di notte, e nate in fretta … un esercizio privato diretto a me stesso» (cito da Religio Medici 1645, seconda edizione), non privo di incertezze e lacune. Ma la posterità gli ha riconosciuto il merito di essere «uno dei primi a esplorare l’allora malnota regione dell’ io cotidiano» (Mario Praz). I romantici Lamb, Coleridge, De Quincey scoprirono Religio Medici, quel bizzarro, saturnino centone di filosofia naturale, teologia, ermetismo, retorica – «congiunzione angelica di medicina e teologia» come scrisse un contemporaneo –, e lo celebrarono come il primo grande esempio di saggistica inglese. Walter Pater, altro memorabile prosatore, precisò che Browne aveva scritto più o meno «di capricci, come se le cose, dopo tutto, significassero la verità più alta solo per caso, sorprese, come musica di vecchi strumenti all’improvviso toccati da un dito vagante …». A quelle vecchie cose – emblemi, imprese, epigrammi concetti, la Wunderkammer del ‘virtuoso’ secentesco – si poteva pervenire solo passando per l’oblio del presente. Praz fu ossessionato dalla ricchezza della imagery geroglifica che trapassa dalla pittura alla morale, alla metafora, all’allegoria, semplificando argutamente i problemi della comunicazione. «Bisognoso com’era di certezze sensuali, il secentista non si fermò all’idoleggiamento puramente fantastico dell’immagine: volle estrinsecarla, proiettarla in un geroglifico, un emblema; si compiacque di rincalzare la parola con una rappresentazione plastica aggiunta» (Studi sul concettismo, 1933). Raccolse i testi smarriti degli emblem books in quattro volumi, gli ultimi due in inglese, accresciuti di bibliografie e commenti (Edizioni di Storia e Letteratura, 1964 e 1974).
Ma il necessario apparato erudito non aiuta il lettore di oggi a scoprire il gioco dell’invenzione grafica, più libera nella serie dell’amor sacro e profano. È lo stupore – come ha scritto Benjamin – che «fa schizzare alta l’esistenza dal letto del tempo» di quella figuretta di un Amore grassoccio, vittima di supplizi vari. L’ovvia morale è scritta ai suoi piedi. L’impresa invece ha un alto valore identitario nella società aristocratica, e il motto, che ne è il cuore, indica lo scopo, la condotta di chi lo esibisce.
Dobbiamo a Roberto Calasso l’esplorazione appassionata e minuziosa di questa atlantide sommersa della letteratura geroglifica, dei suoi complessi rapporti con le arti, la cultura ermetica, la sua lunga e frammentaria storia. I geroglifici di Sir Thomas Browne, uscito nella collana «i peradam» di Adelphi (pp. 188, € 20,00), raccoglie gli scritti che Calasso ha dedicato allo scrittore mago, pieno di grazia, umiltà, e prescienza del mondo visibile e invisibile. Colui che affermò arditamente «… la natura ha fatto un mondo e l’arte ne ha fatto un altro. In breve, le cose sono tutte artificiali, poiché la natura è l’arte di Dio». Su Browne il giovane Calasso scrisse la sua tesi di laurea, discussa con Praz nel 1966, da cui è estrapolato il seminale saggio «Fisiognomica di Sir Thomas Browne», già conosciuto come introduzione alla adelphiana Religio Medici del 2008. «Browne ha colto con estrema lucidità la ambivalenza della voga geroglifica: tentativo, per un verso, soprattutto negli autori ermetici, di tornare a un linguaggio sacro e simbolico; e al tempo stesso, ultima prova del depauperamento e dell’offuscarsi dei simboli, come è provato in gran parte della letteratura degli emblemi». Seguì nel 1646 Pseudodoxia Epidemica, un lungo trattato sugli errori, i dislivelli semantici, in registro basso. Ma privilegiato dai devoti moderni è Urn Burial sulla morte, le ceneri, il cui il capitolo quinto – «un solo e lunghissimo respiro trascina tempo, sirene, mummie, oblio ed eternità in una folata retorica» – è stato tradotto da Borges e Bioy Casares. Leggendo nel Liber Mundi, Browne scopre il carattere numerico della realtà, l’emblema del quincux, il cinque, analizzato in The Garden of Cyrus. Nella «Deuteroscopia» alla fine del volume, raccolta di apprezzamenti, omaggi, lodi di traduttori, imitatori, lettori, spicca la dichiarazione perentoria di Virginia Woolf: «Pochi amano la gli scritti di Sir Thomas Browne, ma quei pochi appartengono al sale della Terra».
Quanto alla fittissima e intricata storia della letteratura ermetica-geroglifica, anche alchemica, dagli Egizi a Giordano Bruno, la «petulca» tribù letteraria può seguirne la scintillante traccia da Diodoro Siculo, Plutarco, Plotino alla «rinascenza geroglifica» del Quattrocento italiano che ne riafferma la natura sacra e simbolica (Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Francesco Colonna, Andrea Alciato…, fino a Bruno, al grande Kircher, e agli scettici studiosi odierni). Sarebbe opportuno seguire il consiglio che Browne diede a un amico: «Mentre ti sfinisci su questo lavoretto, non pensare che stai cuocendo asparagi. Cancella, restaura, torna all’incudine». Forse in futuro qualcuno si affaccerà incuriosito su queste loquaci carte e si proverà a riallacciare i preziosi fili.