L’uscita di Suicide Squad nelle sale americane, l’estate 2016, era stata interpretata come il segno di un divario crescente tra l’opinione del grande pubblico e quella dei critici, specialmente in fatto di grandi produzioni hollywoodiane. Secondo il sito Rotten Tomatoes, mentre solo un misero 26% delle recensioni era a favore del film ispirato ai supereroi criminali della DC Comics, il 60% del pubblico lo aveva apprezzato. Da allora a oggi, con Thor, Spiderman Homecoming, The War – Il pianeta delle scimmie, Guardiani della Galassia 2… la critica americana sembra essersi almeno in parte riconciliata con il grosso action cinema che domina i listini delle Majors. Ma non si è riconciliata per niente con David Ayer. Bright, l’ultimo lavoro del regista di Suicide Squad, di Fury e dell’apprezzato poliziottesco losangelino End of Watch, apparso su Netflix qualche giorno prima di Natale, è stato accolto da un’ondata di recensioni al vetriolo (solo 28% pro) e da un notevole entusiasmo di pubblico (88%).

Per dare il senso di una stroncatura così totale da destare simpatia istintiva per il film in chi non lo aveva visto, David Ehrlich, di Indiewire, lo ha definito non solo «il peggior film del 2017», ma anche un film così brutto «che i repubblicani lo passeranno subito come legge» e «che potrebbe essere responsabile dei peggiori film dei prossimi anni». Aldilà dell’opinione sul lavoro di Ayer (che ha reagito promettendo di incollare la recensione sul suo frigorifero), lo zelo virtuosistico con cui il critico -e i suoi colleghi- hanno fatto a pezzi il film tradisce il senso di minaccia evocato dall’apparizione sul mercato di un blockbuster made in Netflix. Visto in tv (Nielsen non ha modo di calcolare le visioni sui computer o tablet) da undici milioni di spettatori in soli tre giorni, Bright è infatti il film più costoso mai prodotto dalla piattaforma streaming di Ted Sarandos – un semi-kolossal fantascientifico con Will Smith, con un budget stimato intorno ai 90 milioni di dollari, 3 dei quali andati al suo sceneggiatore, Max Landis.

In modo ancor più deciso che con Okja, del regista coreano Boong Joon-Ho, con Bright, Netflix abbandona la comfort zone delle produzioni indipendenti e arthouse per entrare in un territorio che è ancora appannaggio quasi esclusivo degli studios. In questo nuovo Wild West della distribuzione, e dei modi di consumare cinema, dove un film del 1987 come Incontri ravvicinati del terzo tipo torna in 1500 sale Usa ma (a meno che tu non viva a LA e NY), l’ultimo action/adventure di Will Smith lo puoi vedere solo in tv, su tablet o su telefonino, Bright è in effetti un lavoro emblematico del cambiamento, un mutante di culture diverse, deciso a riassorbire la grammatica del grosso cinema hollywoodiano nel Dna della rete.

Più affascinante e curioso che riuscito, è un mutante che non si può ignorare. Intanto lo script, firmato da uno dei più pagati giovani sceneggiatori del momento, una creatura/creazione della pop cultura rimetabolizzata dai social e da Internet (Max Landis è famoso anche per i suoi video su YouTube), formata però nella tradizione cinema esemplificata dalla generazione di suo padre John – quindi l’amore per il genere (il fantastico in particolare), e le sue convenzioni, ma anche nel suo uso politico. L’impianto di Bright è infatti quello di un film classico, un buddy movie nella tradizione che va da Laurel e Hardy (idoli di Landis senior) a 48  Ore. Come il film di Walter Hill (di cui è appena stato annunciato un remake dei fratelli Safdie), è l’avventura di due personaggi che non si piacciono ma sono insieme per forza, accomunati da un pericolo.

Invece del detective bianco (Nick Nolte) e del criminale afroamericano (Eddie Murphy), sono due poliziotti di Los Angeles (lo stesso dipartimento in cui era ambientato End of Watch), Will Smith e un orco (dietro al cui make up blu e grigiastro si nasconde Joel Edgerton), il primo a cui è concesso di indossare la divisa blu. Nella LA di Landis e Ayer (il cui stile sporco, documentaristico, sembra poco ideale per una sceneggiatura così tongue-in-cheeck), gli orchi sono infatti creature dei ghetti, associati più alle gang che alle forze dell’ordine. L’élite della città è costituita dagli elfi, che vivono in un quartiere a parte. Aggiungere alla qualità onnivora, sovversiva e al messaggio antirazzista, agenti corrotti, pestilenziali folletti volanti, una bacchetta magica che vogliono tutti e Naomi Rapace cattivissima. Bright è molto meno bello di quello che avrebbe potuto essere, ma la sua sgangherata generosità conquista.