Le diplomazie si stanno schierando, pronte alla battaglia. Per ora, le prime mosse sono di carta: ieri, il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, ha risposto con 6 pagine alle 5 pagine dell’attacco di mercoledì della premier britannica Theresa May, che ha segnato l’attivazione dell’articolo 50. Al di fuori del testo, che sarà probabilmente modificato solo ai margini prima di essere approvato definitivamente al Consiglio del 29 aprile, Donald Tusk è partito all’attacco su uno dei punti più controversi della dichiarazione di Theresa May, il «ricatto» agli europei sulla sicurezza.

«I nostri partner sono saggi e onesti – ha detto Tusk – e per questo sono assolutamente certo che nessuno sia interessato a utilizzare la cooperazione in materia di sicurezza come oggetto di scambio». May, a sorpresa, nella deep and special partnership ha incluso non solo le questioni commerciali (l’accesso al mercato unico), ma anche la sicurezza: «L’impossibilità di pervenire a un accordo indebolirebbe la nostra cooperazione nella lotta contro la delinquenza e il terrorismo», «indebolire la nostra cooperazione per la prosperità e la protezione dei nostri cittadini sarebbe un errore». Il ministro degli Interni, Amber Rudd, ha precisato: «Siamo i primi contributori di Interpol, se ce ne andiamo portiamo via la nostra intelligence». Costernazione a Bruxelles tra i 27, che ieri, tramite la presa di posizione di Tusk, hanno respinto al mittente il «ricatto» britannico sul collegamento tra accordi sul commercio e cooperazione sulla sicurezza.

Gli Usa non fanno un ricatto analogo così esplicito, ma Donald Trump, che ha a più riprese chiesto agli europei di pagare di più per la loro difesa, adesso parte all’attacco del deficit commerciale Usa (502 miliardi di dollari nel 2016), non solo verso la Cina (347 miliardi), ma anche nei confronti degli europei (146 miliardi). Per il momento, Trump vuole un auditing per «identificare tutte le forme di abusi commerciali», con una dozzina di paesi presi particolarmente di mira (tra cui Germania, Francia e Italia). Tra 90 giorni si vedrà il risultato e quali conseguenze ne trarrà l’amministrazione Usa.

Nella Ue, i tempi saranno molto più lunghi per avviare il negoziato con Londra. Tusk spera che un accordo sui termini del divorzio venga raggiunto entro fine anno, per poter essere discusso al Consiglio Ue del prossimo dicembre. Solo dopo verrà affrontata, dettaglio dopo dettaglio, la questione delle «relazioni future» Ue-Gran Bretagna, che invece May avrebbe voluto mettere sul tavolo al più presto. Le trattative saranno «difficili, complesse, conflittuali», ha avvertito Tusk. I 27 hanno precisato che il negoziato sarà «a tappe». Intanto, il primo scoglio da superare è la situazione dei 3 milioni di europei che risiedono in Gran Bretagna (e, di conseguenza, dei 2 milioni di britannici sul continente), sulle «garanzie» che avranno rispetto alla loro situazione. Fa parte della discussione preliminare anche il destino e la sopravvivenza delle imprese europee in Gran Bretagna. Dovrà essere onorato il saldo dei contributi britannici al funzionamento della Ue, che Bruxelles valuta intorno ai 60 miliardi. Tra le questioni preliminari c’è anche il «confine» tra Gran Bretagna e Irlanda, dove dovrà essere trovare una «soluzione flessibile e immaginativa».

Tusk rifiuta «negoziati bilaterali» tra stati membri e Gran Bretagna, che invece punta a dividere per meglio imporre i propri interessi. E respinge la richiesta di May di fare negoziati settore per settore. La Ue imporrà garanzie contro il dumping «fiscale, sociale e ambientale» che potrebbe tentare la Gran Bretagna, trasformandola in un paradiso fiscale. «Il negoziato potrebbe fallire», avverte Tusk, che prevede la possibilità di arrangiamenti transitori «nell’interesse della Ue». In questo caso, Bruxelles esigerà «il rispetto delle regole in vigore nella Ue», decisioni della Corte di giustizia comprese.