Mancano ormai ventidue giorni al giorno del giudizio referendario, il prossimo 23 giugno, e la guerra delle accuse e controaccuse, delle proiezioni e argomentazioni, dei saggi e dei sondaggi, dei sondaggisti e degli opinionisti pro Leave o Remain impazza più che mai. Protagonisti di tanta iperventilazione sono appunti i sondaggi/sti che, ormai un po’ come il tempo atmosferico, alternano solleone e gelate un giorno dopo l’altro, alla faccia delle compiante quattro stagioni, anch’esse così mestamente last century.

Nella fattispecie, si era a giorni dall’ultimo allungo olimpionico con il quale il Remain aveva sorpassato i rivali, ed ecco il Leave rispondere con una prova di carattere tipica del campione: secondo l’ultimo sondaggio telefonico commissionato dal Guardian, l’opinione pubblica nazionale ora si schiera per l’uscita con un comodo 52 contro il 48% per la permanenza.

È lecito ipotizzare che senza le sirene continuamente spiegate a perforare l’udito con i loro allarmi sull’’invasione migratoria che si abbatterebbe sul paese qualora decidesse di restare nell’Ue, un simile sorpasso non ci sarebbe stato. Con buona pace del fatto che l’Ue stessa costituisca un baluardo cinico e dis-umanitario all’afflusso dei dannati della terra in fuga dalle guerre che essa stessa ha contribuito volonterosa a innescare e a propagare in casa loro.

Lo stesso sondaggio, compiuto dall’agenzia Icm, dimostra anche la fisionomia di classe e geografica del sostegno al Brexit, l’orribile crasi con la quale si definisce ormai universalmente l’uscita del paese dall’Unione europea (peggiore è forse solo il suo contrario, Bremain): molta della manodopera qualificata nazionale è schierata per mollare – il 62% – e se la Scozia è in massima parte favorevole a restare (la vittoria del leave innescherebbe quasi automaticamente un altro referendum secessionista del Snp, consegnando un’altra unione, quella britannica, al rischio di estinzione) l’Inghilterra e il Galles sono complessivamente per l’uscita.

Non è possibile fare un’omelette senza rompere le uova, diceva un controrivoluzionario nella Francia del Settecento, e una simile ricetta ancora non esiste, nonostante il proliferare di carismatici chef televisivi. Eppure mentre indiceva il più ossessivo dei referendum, Cameron deve davvero aver creduto di poterla cucinare – e servire – ai suoi compagni di partito. Per lui, la frittata dalle uova intere sarebbe stata una consultazione sulla permanenza della Gran Bretagna nella vituperata Ue dove il partito conservatore che – si sa, un po’ come Göring con la cultura, ogni volta che sente la parola “Europa” mette mano alla pistola -, fosse stato capace di non spaccarsi.

Cosa che è invece, puntualmente, non solo accaduta, ma ha assunto proporzioni tali da poter in teoria terminare anzitempo il suo mandato. Tre deputati conservatori – mezze figure, per la verità – hanno già chiesto un voto di sfiducia al leader conservatore, reo di fare esattamente quello che un uomo politico “realista” fa in Italia fin dai tempi del trasformismo dell’era Depretis: sostenere l’esatto contrario di quanto si era appena sostenuto in nome della mutata convenienza politica. Dopo aver stigmatizzato in campagna elettorale il neosindaco laburista londinese Sadiq Khan – che, lo ricordiamo qualora non sia stato sottolineato abbastanza, è di fede islamica – come “vicino all’Islam radicale,” ieri Cameron gli si è addirittura affiancato in un evento pro-remain.

Il pop-rock ci insegna che i supergruppi sono quasi sempre un fallimento artistico, e l’improbabile duo Khanmeron non ha fatto eccezione. L’imbarazzo della situazione non è stato difficile da cogliere, con un Khan strenuamente risoluto a non serbare rancore per il trattamento razzista della campagna che il collega di Cameron, Zac Goldsmith, gli aveva mosso contro (consapevole com’è dell’importanza di sottolineare la propria “costituzionalità” a scapito del leader Corbyn, per destituire il quale è stato fatto digerire ai centristi moderati, di cui peraltro fa parte).
Quanto al milionario Cameron, e su quale pianeta creda di vivere, basta un’analisi anche superficiale del suo discorso, di cui merita citazione diretta la seguente perla: “Prima di tutto, lasciate che mi congratuli con Sadiq. Ha parlato di suo padre. Lui è figlio di un autista d’autobus. Io sono figlio di un agente di cambio, che non è così altrettanto romantico.”