Theresa May, regina dell’ambiguità. La premier britannica aveva scelto Firenze, lontana da Bruxelles, per un discorso che avrebbe dovuto chiarire i tanti punti oscuri sulla posizione di Londra nel negoziato sulla Bexit, che a 18 mesi dal referendum è al punto morto, mentre lunedi’ prossimo si apre il quarto appuntamento di discussioni tra Ue e Londra. Ma ieri, di fronte a un pubblico dove spiccava l’assenza di personalità della Ue, Theresa May ha confuso ancora le acque di “un processo inevitabilmente difficile”: a breve, la premier ha fatto la voce dolce a favore di un periodo di transizione soft, “calmo e ordinato”, ma sul lungo periodo nessuno puo’ escludere oggi la minaccia di un edge cliff, cioè di uno scossone senza preparazione per l’uscita definitiva della Gran Bretagna dalla Ue, un processo che dovrà essere “creativo” per “una relazione sviluppata su nuove strade”.

Theresa May ha confermato la data-chiave: la Gran Bretagna sarà fuori dalla Ue due anni dopo aver attivato l’articolo 50, cioè a fine marzo 2019, come stabiliscono i testi Ue. Ma poi ci saranno due anni di transizione, periodo durante il quale continueranno a valere leggi e norme Ue, oltre la partecipazione al mercato unico. Per i cittadini Ue residenti in Gran Bretagna – uno dei punti preliminari più controversi e delicati – in questi due anni di transizione ci sarà la libertà di movimento, ma dovranno “registrarsi”: è una concessione all’ala dura del Leave, perché alla fine del periodo di transizione i residenti esteri potrebbero subire brutte sorprese. May ha garantito che fino al 2022 la giustizia britannica “terrà conto” delle sentenze della Corte di Giustizia europea per quanto riguarda i cittadini stranieri. “Un passo avanti” secondo Michel Barnier, Mr.Brexit di Bruxelles. “Siamo vicini all’accordo” sui cittadini, secondo May. Restano invece molto nel vago gli altri due punti preliminari per poter andare avanti nei negoziati: niente di nuovo sulla questione delle frontiere con l’Irlanda e vaghezza sui contributi britannici al budget Ue. Theresa May ha solo detto ieri la Gran Bretagna continuerà a contribuire al budget Ue per la sua parte fino al 2020, cioè nel periodo votato in corso, per onorare gli impegni presi. Si tratta al massimo di 20 miliardi, cioè una cifra molto inferiore ai calcoli di Bruxelles, che stanno in una forbice tra 55 e 100 miliardi. Teresa May ha pero’ riconosciuto che ci sono impegni finanziari, anche se non ha precisato, e ha fatto riferimento a una collaborazione che continuerà, per le università e le imprese, per quanto riguarda la ricerca.

Theresa May ha lasciato cadere il ricatto agli europei che aveva sbandierato all’inizio rispetto alla collaborazione per la sicurezza: la premier propone ai 27 un “nuovo trattato su sicurezza e giustizia”, “senza precedenti come profondità”. Di fronte alle sfide che non possono avere risposte nazionali, ai “problemi globali” (immigrazione, armi nucleari – e ha citato la Corea del Nord – clima), May ricorda che “usciamo dalla Ue ma non usciamo dall’Europa”. Dopo la transizione, quale modello? May ha escluso quello norvegese (“significa adottare automaticamente e in toto nuove leggi Ue senza avere influenza”), ma anche quello canadese del Ceta (“troppo poco”).

Il terzo discorso di May sulla Brexit – dopo quello al congresso dei Tories nell’ottobre 2016 dove aveva sbandierato un “hard Brexit” e quello alla Lancaster House lo scorso gennaio, dove aveva elencato i 12 obiettivi della Brexit – non ha dissipato le ambiguità. Lo si vede dalle reazioni. Boris Johnson, ministro degli Esteri che milita per un hard Brexit, ha sentito un “discorso positivo, ottimista, dinamico”. Un “discorso eccellente” anche per Michael Gove, ministro dell’ambiente e altro ayatollah dello hard Brexit. Il Labour giudica invece che May ha accettato la loro posizione per una transizione soft, ma “lascia moltissime questioni senza risposta” per il dopo. I Lib Dem deplorano che non ci siano stati spiragli “per offrire un’uscita dalla Brexit”. A Bruxelles, Michel Barnier giudica “costruttiva” la parte sui cittadini residenti, “un passo avanti” anche sulla transizione, ma osserva che non c’è nulla sull’Irlanda e “non ci sono abbastanza dettagli” sul contributo al budget. Il gruppo S&D apprezza il “tono positivo”, ma avverte: “adesso Londra deve passare dalle parole ai fatti”. La prossima settimana il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, incontra May a Londra.