Ieri con l’arrivo a Bruxelles del Brexit Secretary David Davis – già considerato fra i possibili rimpiazzi d’emergenza per l’irrimediabilmente danneggiata Theresa May – è cominciato l’ottovolante delle negoziazioni per la British Exit. Davis ha incontrato la controparte, il negoziatore francese Michel Barnier, per iniziare quella che lui stesso ha definito «la trattativa più complessa di tutti i tempi» – in cui potrebbero naufragare la sua carriera e l’economia della Gran Bretagna – con il sorriso sulle labbra.

I DUE AMANO la montagna. Se ne trovano davanti una davvero impervia: anche per questo si sono scambiati in dono degli accessori da escursionismo.

«Cominciamo le trattative in tono positivo e costruttivo», aveva detto la mattina Davis, cui ha fatto da controcanto Barnier: «Prima dobbiamo affrontare le incertezze poste dalla Brexit».

INCERTEZZE mai tanto condivise dal governo e dal partito conservatore, spaccato fra gli hardliners ideologici del fuori a tutti i costi (linea riassunta dal soundbite «nessun accordo è meglio di un accordo svantaggioso») e i più pragmatici fautori della linea morbida, una soft-Brexit dove si mantiene il passaporto europeo per le imprese, sposata dal cancelliere dello scacchiere Philip Hammond che ha scampato la defenestrazione proprio grazie alla debacle elettorale ed è inaspettatamente tornato ad avere (un’alta) voce in capitolo. La Brexit degli ultras euroscettici che hanno preso il controllo di Downing Street è costruita sul duplice dispositivo propagandistico del controllo delle frontiere e dei flussi migratori in entrata e della sovranità giuridica, mentre gli europei tengono a impartire ad altri potenziali transfughi una lezione di quanto cupo sia il futuro economico di chi non rinnova l’abbonamento perenne all’Ue.

SONO QUESTE GROSSOMODO le posizioni delle parti in causa, che ieri hanno semplicemente cominciato a delineare l’evolversi delle trattative, i cosiddetti talks about talks, oltre a stabilire una tabella di marcia, anzi di corsa: la scadenza è il 29 marzo 2019.

Poco più di un’inaugurazione da cui ciascuno ne è uscito con una dichiarazione di circostanza. Barnier mantiene un cauto e sogghignante ottimismo e ha detto che un accordo buono per ambo le parti è possibile e preferibile a nessun accordo. La controparte europea ha sinora assistito con una malcelata Schadenfreude (soddisfazione per le disgrazie altrui) al fallimento di tutta la fazione hard brexiter del partito conservatore alla quale Theresa May (ex-remainer, va ricordato) ha improvvidamente legato la sua carriera politica e le sorti del paese.

Per ora le priorità da discutere restano il futuro dei diritti dei rispettivi cittadini, il pagamento del conto all’Ue per l’uscita, la libera circolazione dei lavoratori, un accordo di libero scambio e la delicata faccenda dei confini con l’Irlanda (cui è legata l’esigua maggioranza Tory-Dup che puntella May. L’accordo ufficiale tra i due pertiti peraltro non è stato ancora annunciato).

LA DATA FATIDICA di questo cortese braccio di ferro fra ex-soci, che dovrebbe terminare con una stretta di mano ma potrebbe altrettanto finire con dolorosi dietrofront, non potrebbe capitare in un contesto politicamente e socialmente più convulso per il paese uscente.

THERESA MAY è una prima ministra con impressa la data di scadenza, avendo appena buttato alle ortiche una maggioranza solida con le sue ormai brevettate elezioni anticipate-boomerang. Dipende dall’appoggio di Michael Gove e Boris Johnson, gatto e volpe che tengono a bada le parti più oltranziste della fronda anti-leadership.

In più è assediata dalle conseguenze indirette di tutta una serie di atti di violenza che si susseguono con intensità e frequenza agghiacciante. È nella posizione più debole in cui accingersi a un simile tour de force di contrattazioni. Debolezza per ora proiettata sul suo emissario-sostituto al negoziato almeno finché lui stesso non la sostituisse al premierato.

Il tour de force commercial-diplomatico del secolo, che potrebbe durare due anni come un decennio e in cui la Gran Bretagna dovrà scegliere se ritrovarsi non-dentro oppure non-fuori dall’Ue, è partito in orario. Sull’arrivo è lecito prepararsi a ritardi.