“Finché non siamo fuori, siamo dentro”. Non è una frase dell’irlandese Samuel Beckett, ma l’affermazione di un diplomatico britannico, ieri. Significa che David Cameron, che oggi è atteso al Consiglio europeo che si chiude domani con la novità di una riunione a soli 27, non ha nessuna intenzione di attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, cioè tirare le conseguenze del Brexit e permettere che si aprano i negoziati per l’uscita, poi quelli di una nuova relazione Gran Bretagna-Ue. A Londra, Cameron ha precisato la sua visione di divorzio consensuale: “la Gran Bretagna lascia la Ue, ma non deve voltare le spalle all’Europa”. Più chiaro il cancelliere dello Scacchiere, ieri mattina: “il primo ministro ha dato tempo al paese per decidere la natura di questa relazione, ritardando la decisione di attivare l’articolo 50 fino alla nomina di un nuovo primo ministro quest’autunno”, al massimo verso inizio settembre. Osborne ha sottolineato che “solo il Regno unito puo’ attivare l’articolo 50, e secondo me dovremo farlo solo quando ci sarà una chiara visione su quale nuovo accordo stiamo cercando con i nostri vicini europei”. In altri termini, Londra cerca una via d’uscita per difendere i propri interessi economici, che si concentrano sull’accesso al mercato unico e sul passaporto finanziario. Nel frattempo resta al suo posto. L’obiettivo è imporre ai 27 due negoziati paralleli: quello di uscita e quello di rientro sotto altra forma. Questo dà a Londra maggiori margini di manovra, ma rischia di annacquare lo strappo, dando argomenti ai tanti “exit” che si preparano su istigazione dell’estrema destra nei paesi europei.

Non la vedono dello stesso occhio i partner. Ma il fronte dei 27 è già incrinato. Anche al massimo livello. Ieri sera, Angela Merkel ha riunito a Berlino François Hollande, Matteo Renzi e il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk. Hollande e Renzi hanno fretta. Come Martin Schultz, al Parlamento europeo, dove ieri c’è stata una pre-riunione del gruppo S&D. Per Hollande, “non bisogna perdere tempo” per il divorzio e evitare che si prolunghi “l’incertezza”. I ministri delle Finanze sono molto sensibili a questo argomento, visto il caos sui mercati (persi 2mila miliardi di dollari in Borsa). Questa visione è rispecchiata dai documenti di preparazione del Consiglio di domani e dopo-domani, preparati dagli sherpa. Ma Angela Merkel frena: “non c’è nessuna ragione di essere particolarmente cattivi nei negoziati”. Renzi ha capito la trappola: “l’Europa non puo’ perdere un anno per discutere di procedure, perderemo di vista cosa è successo”. Ma la Germania, che perde un alleato sulle questioni economiche, vuole alleggerire il “metodo” e anche il “ritmo”. Hollande è oggettivamente debole e si vede male come anche il presidente francese, temporizzatore per carattere, non si lasci trascinare in una successione di rimandi, tanto più che nel 2017, oltre che in Germania, ci sono le elezioni (presidenziali e legislative) anche in Francia. Le critiche di Manuel Valls al Ttip, che “non va nella buona direzione”, sono per il momento cadute nel vuoto. Lo statunitense Kerry, del resto, ha già suggerito agli europei di “non perdere la testa”.

E’ Jean-Claude Juncker che rischia di perdere a sua. Secondo fonti diplomatiche dell’Europa dell’est, girerebbe una “mozione” per farlo fuori: “la situazione cambia ora per ora – spiega un diplomatico – abbiamo bisogno di inviare un messaggio ai nostri elettori, che si puo’ cambiare Bruxelles, che vengono ascoltati”. A tirare per primo, a volto scoperto, è stato ieri il ministro degli Esteri della Repubblica ceca, Lubomir Zaoralek: “Juncker non è l’uomo della situazione”. L’Est non ha digerito l’intransigenza del presidente della Commissione: “out is out”. Un capriccio dell’Est, che vuole far pagare a Juncker le iniziative sulla distribuzione dei migranti? Ma ieri sera, Merkel ha invitato a Berlino, oltre a Hollande e Renzi, solo Donald Tusk e non Jean-Claude Juncker (e pare non abbia apprezzato per nulla l’iniziativa dei sei ministri degli esteri dei paesi fondatori, invitati sabato a Berlino da Steinmeier). La Commissione ha già nominato un negoziatore con Londra (il belga Didier Seewus), ma circola la voce che potrebbe non essere la Commissione a tenere le redini della procedura di divorzio. Tusk, presidente del Consiglio Ue (cioè gli stati) potrebbe soppiantare Juncker (che potrebbe dimettersi per ragioni di salute). Alla testa della Commissione non dovrebbe andare il vice, Frans Timmermans (è social-democratico), il nome che circolava ieri con maggiore insistenza è quello del lettone Valdis Dombrovskis, che ha già ereditato per il momento il portafoglio del commissario britannico Jonathan Hill, che dopo l’esito del referendum ha dato subito le dimissioni (anche per un chiaro conflitto d’interessi nella responsabilità dei servizi finanziari).