L’ennesima settimana di Passione di S. Theresa si apre con un voto in parlamento oggi, seguito con ogni probabilità da un altro voto in parlamento domani, al quale si presume, ragionevolmente, farà seguito un terzo voto giovedì. Sono le prossime tre stazioni della “Via Brexit” di May, mentre il Paese precipita avvitandosi verso il 29 marzo senza che la sua leader abbia fatto nulla di sostanziale per sbloccare la situazione.

Sembra tuttavia che il risultato meno improbabile di tanta febbrile inattività sarà l’estensione di novanta giorni dell’articolo 50, in buona sostanza un rinvio della data di uscita ufficiale per prendere tempo. Senza sapere naturalmente ancora cosa farne, ma quando si naviga a vista ormai da tre anni anche tre mesi in più hanno il loro perché. Gli ultimi trafelati incontri del fine settimana a Bruxelles fra le due delegazioni – nelle quali erano riposte le flebili speranze di modificare l’accordo secondo i desiderata del parlamento – non avrebbero prodotto i risultati sperati: aperture europee in questo senso non sono state accettate dal governo britannico e, mentre scriviamo, non è dato sapere se un’“offerta importante” fatta ieri sera (e menzionata da Angela Merkel secondo Sky News), abbia convinto May. La quale, dopo essersi chiusa da sola in un angolo, evidentemente spera che le massime due paure dell’aula, quella di un no deal e quella di un no Brexit, la inducano obtorto collo a votare per il suo accordo.

Ma torniamo alla fitta agenda di questa settimana. Si comincia con il voto “significativo” di stasera, quando l’aula si ritroverà di fronte l’accordo di uscita negoziato dai May men e che aveva già sepolto sotto la spietatezza di 230 voti contro (una delle sconfitte più pesanti mai subite da un governo). Non è dato sapere su quali basi questo speri di raddrizzare una debacle tanto umiliante e che risale appena allo scorso gennaio: soprattutto ripresentando lo stesso accordo che – non avendo la premier strappato a Bruxelles alcuna delle deroghe sul backstop con le quali sperava di rabbonire il Dup e i bucanieri dell’Erg (European Research Group) di Rees-Mogg – filerà dritto verso un altrettanto umiliante disfatta. E questo nonostante l’ennesimo viaggio in extremis da lei compiuto a Strasburgo per incontrare il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

Se le previsioni della vigilia saranno confermate, il governo avrebbe promesso un altro voto domani, stavolta perché la Camera si esprima su un’uscita no deal, senza accordo. E qui si presume che Westminster si pronuncerà contro un simile salto nel vuoto: l’adrenalina nel doppiopetto di figure come Rees-Mogg si rovescia nel panico incontrollato dei libri contabili di troppe imprese. Nel caso l’aula obbedisca all’istinto di conservazione di ogni organismo sano, si aprirebbe la buona vecchia tattica del dilazionare: richiedere la proroga a Bruxelles di cui sopra. Che però non è scontato sia automaticamente ottenibile, giacché necessita del benestare degli stati membri dell’Unione. Una volta di più, a emergere sempre più nettamente da queste sabbie immobili è l’epilogo di May prima ministra. Il suo non voler a nessun costo capitolare a un’interpretazione meno assolutistica dell’uscita dall’Ue, che le avrebbe garantito l’appoggio degli eurofili del suo partito come di tutto il partito laburista – la cui posizione, lo ricordiamo, è permanenza nell’unione doganale e “stretti rapporti” col mercato unico – nel tentativo di rabbonire l’euroscetticismo a marcate tinte destrorse nella Camera bassa come nell’opinione pubblica, l’ha condotta in questo vicolo cieco. La sua perdita di autorevolezza e di autorità non la rendono più sostenibile, tanto come rappresentante che controparte. E il mormorio che la invita a farsi da parte sta diventando un grido.

Nel frattempo, il Paese si prepara a quest’ennesima settimana “storica”. Anche se trovare degli aggettivi atti a esprimere la crucialità di simili appuntamenti, quando ormai si susseguono al ritmo di mezze dozzine al mese, pone la stessa difficoltà che hanno i meteorologi a definire le giornate più calde, le precipitazioni più abbondanti e i venti più forti “da quando è iniziata la rilevazione”: nascono ormai come degli ex-record, già battuti.