Calma e gesso. L’Europa, patria del razionalismo, cerca di inquadrare le mosse del prossimo futuro e quelle che seguiranno, ben distinguendo i tempi. Prima mossa: il divorzio dalla Gran Bretagna. I britannici hanno risposto “leave” alla domanda se restare o andarsene dalla Ue (non sono stati interpellati su quale Ue volessero). Seconda tappa: rimettere sui binari e rilanciare la Ue, contestata e poco amata in molti paesi, dopo la “sberla” (Renzi). Nessuno dei due movimenti è semplice. Alla conclusione del Consiglio europeo, che ieri nel secondo giorno si è riunito a 27, sono stati chiariti alcuni punti: la constatazione che, nel rispetto dei Trattati, tocca al Regno unito “notificare al Consiglio europeo l’uscita dall’Unione sulla base dell’articolo 50”, la concessione di un po’ di tempo a Londra, invitata a presentare la domanda “appena potrà farlo”, ma senza “meditare” troppo, ha aggiunto Jean-Claude Juncker (Commissione). Poi il negoziato avverrà nel rispetto delle leggi, “un ritiro ordinato”, senza trattative segrete o parallele. Cameron ha fatto digerire ai quasi ex partner due mesi di attesa: sarà il nuovo primo ministro britannico che deciderà se presentare l’attivazione dell’articolo 50 e il nome sarà conosciuto il 9 settembre. Per il momento, i 27 non hanno potuto fare altro che esprimere “profondo dispiacere” ma la tempo stesso “rispetto” per il risultato del referendum britannico. Le ironie e i nervosismi nei confronti di David Cameron sono state riservate alle reazioni di corridoio. Nella facciata, l’ultima cena di Cameron, martedi’, si è svolta su un tono “educato”. Hollande ha precisato: “nessuno ha voluto umiliare Cameron poiché questo avrebbe voluto dire umiliare il popolo britannico, la cui scelta deve venire rispettata”. Ma il belga Charles Michel ha messo in guardia: “nessun ricatto, non accetto che l’Europa venga presa in ostaggio e che l’Unione e il Belgio debbano pagare i conti di una crisi politica in Gran Bretagna”. Angela Merkel ha sottolineato che “sarebbe preferibile che (l’attivazione dell’articolo 50) avvenisse rapidamente allo scopo di evitare di entrare in un periodo di incertezza”. Intanto, ha ricordato la cancelliera, fino all’uscita, il “diritto Ue” continuerà ad applicarsi “verso la Gran Bretagna e al suo interno”, con i “diritti e obblighi” che ne derivano. Per Merkel, bisognerà arrivare ad avere “in futuro uno stretto partner Ue” e ha aggiunto: “non aspettiamo altro che il Regno unito dichiari le sue intenzioni in questo senso”. Juncker ha ricordato che per avere “accesso al mercato unico” bisogna rispettare le “quattro libertà” (tra cui la libera circolazione delle persone), che “non ci sarà un mercato unico à la carte”. Intanto, è già cominciata la prima battaglia tra i 27, per spartirsi le due Agenzie europee che dovranno cambiare sede: l’Agenzia europea delle medicine e l’Autorità bancaria europea (il Lussemburgo ha già avanzato le sue pedine, esumando un vecchio testo del 1965, che gli darebbe qualche diritto). Ieri, è stata ricevuta a Bruxelles, da Schultz (Parlamento) e Juncker (Commissione) ma non da Tusk (Consiglio) la prima ministra della Scozia, Nicola Sturgeon. La Spagna ha subito posto il veto (pensando alla Catalogna): non ci sarà nessun negoziato diretto con Edimburgo per restare nella Ue.

La seconda mossa è ancora più difficile: “l’Europa di fronte al proprio futuro”, come ha riassunto Matteo Renzi, quella degli “ideali, dei sogni, del valori, dei giovani”. A settembre, al vertice straordinario di Bratislava confermato ieri dal presidente del Consiglio Ue Donald Tusk, dovranno essere tracciate le grandi linee. Già sono stati individuati i campi della “sicurezza”, della “crescita” (economica e dell’occupazione), dei “giovani”, come avevano indicato a Berlino lunedi’ Merkel, Hollande e Renzi. “Vogliamo un’Europa meno burocratica – ha detto Merkel – ed è pronta un’agenda strategica, tutte le istituzioni sono pronte a promuovere crescita e occupazione, dobbiamo creare posti di lavoro, crescita e aumento della competitività”. Il documento finale ha riferimento alla Ue, “traguardo storico di pace, prosperità e sicurezza nel continente europeo”, che resta “il quadro di riferimento comune”, ma ammette che “allo stesso tempo, molte persone esprimono insoddisfazione per lo stato attuale delle cose, a livello sia europeo che nazionale. Gli europei si aspettano che facciamo di più in tema di sicurezza, prosperità e speranza per un futuro migliore”. La Ue dovrebbe concentrarsi su questo quadro generale, lasciando poi agli stati – e ai governi che i cittadini sceglieranno – declinare il “di più” che puo’ dare l’unione rispetto alle nazioni, diventate troppo deboli nell’oceano della mondializzazione. Un’alchimia non facile da raggiungere, come insegna la storia passata.