Il Parlamento europeo respinge al mittente le proposte britanniche sulla cittadinanza dei residenti europei, al momento – a più di un anno dal referendum – la sola proposta fatta da Londra a Bruxelles.

IN UNA LETTERA del Brexit Steering Group (gruppo di pilotaggio) sottoscritta dai cinque principali gruppi dell’Europarlamento, Guy Verhofstadt (Alde, liberali), Manfred Weber (Ppe), Gianni Pittella (S&D), Gabi Zimmer (Gue, sinistra) e Ska Keller (Verdi), viene espressa forte inquietudine sulle garanzie che avranno i residenti comunitari nella Gran Bretagna post-Brexit, tre milioni circa di persone (mentre i residenti britannici nei paesi Ue sono sui due milioni).

Theresa May ha parlato di «offerta generosa», ma i parlamentari Ue vedono al contrario un progetto che non risponde ai principi di «reciprocità, simmetria e non discriminazione» che erano stati posti come base dalla Ue per cominciare i negoziati.

A BRUXELLES RITENGONO che il governo May abbia l’intenzione di utilizzare i diritti dei cittadini come moneta di scambio, come un argomento di ricatto per fare pressione sul negoziatore Ue, Michel Barnier.
Per Bruxelles, prima bisogna arrivare a un accordo sui diritti dei cittadini e sulla questione finanziaria (quanto deve versare la Gran Bretagna per i programmi già avviati, tra i 20 e i 60 miliardi), per poi definire i nuovi rapporti tra Ue e Londra.

IL PARLAMENTO EUROPEO ricorda di aver diritto di intervento sul negoziato con Londra: non intende estendere il termine dei negoziati, previsto due anni dopo l’avviamento dell’articolo 50 (30 marzo 2019), e minaccia di porre il veto se la Gran Bretagna ridurrà i diritti dei residenti Ue per farne «cittadini di seconda classe», messi in situazioni di «preoccupante e costante incertezza».

Il calendario del negoziato e dell’uscita definitiva della Gran Bretagna non può essere modificato perché, se fosse allungato al di là del 30 marzo 2019, i britannici potrebbero votare per il nuovo Parlamento europeo, nel maggio 2019, «una situazione semplicemente impensabile». Stando all’«offerta generosa» di May i residenti comunitari in Gran Bretagna da prima del 29 marzo 2017, data della messa in atto dell’articolo 50 e avvio della procedura di uscita, conserveranno certo dei diritti, ma perderanno quello di votare alle elezioni locali, mentre i loro famigliari saranno sottoposti ai criteri di reddito per poter ottenere un certificato di residenza e la sorte dei minorenni resta nel vago.

VIVREBBERO sotto la minaccia di una possibile espulsione. La Ue aveva fatto una «proposta semplice», dice la lettera dell’Europarlamento: conservare eguali diritti per tutti, perché per gli eurodeputati un «ritiro retroattivo dei diritti» è contrario ai principi «di base» della costruzione europea.

Ma il governo di Theresa May ha impiegato tre settimane per presentare una soluzione fumosa, che alla fine equipara i cittadini europei residenti in Gran Bretagna a «cittadini di un paese terzo» e non garantisce la reciprocità. Non ci sono certezze, per esempio, sul riconoscimento dei titoli per i medici. Nessuna garanzia per i frontalieri. Ieri, hanno protestato anche dei britannici che pur risiedendo nel loro paese lavorano in un altro: sono circa 45mila persone che temono di perdere il lavoro.

LA CITY SI STA DANDO da fare in questo periodo per cercare di evitare di finire sull’orlo del baratro il giorno del Brexit definitivo. Theresa May vuole uscire dal mercato unico, ma in questo caso la City perderebbe il «passaporto finanziario», cioè il diritto di vendere i suoi prodotti finanziari in tutta la Ue. Una perdita enorme. Così, alla City premono per un periodo transitorio (da 2 a 5 anni) dopo il Brexit, per stabilire nuove regole, mantenendo la possibilità di immigrazione europea.

Theresa May non vuole più sentir parlare di Corte di giustizia europea, così la City pensa a sostituirla con una corte arbitrale, il famigerato modello di «giustizia privata» che ha sollevato grandi proteste per il Ttip e il Ceta, gli accordi commerciali con Usa (ora sospesi) e Canada, che dovrebbero entrare in vigore in modo transitorio già il 21 settembre.