«Il momento più duro è davanti a noi». Così, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e la cancelliera Angela Merkel hanno commentato la conclusione del Consiglio europeo, ieri, dove i 27 hanno confermato l’accordo con la Gran Bretagna sulle condizioni di partenza della Brexit: riguardano la situazione dei circa 3milioni di cittadini Ue residenti in Gran Bretagna, l’assegno di Londra per uscire dalla Ue e la spinosa questione della frontiera con l’Irlanda.

È il compromesso che era stato raggiunto l’8 dicembre scorso, dopo un’ultima notte di colloqui serrati, per aprire la seconda fase del negoziato. Adesso, da fine gennaio fino a marzo il negoziato sarà concentrato sul periodo di transizione, che seguirà il giorno del divorzio, il 29 marzo 2019 alle ore 11: un periodo di 2-3 anni, per evitare il cliff edge, il salto nel vuoto brutale. Poi, da marzo, dovranno venire definite le linee-guida della futura relazione. C’è poco tempo, perché il testo deve essere pronto prima della fine del 2018. In Gran Bretagna ci sarà un voto a Westminster, imposto dai parlamentari a Theresa May mercoledì scorso. Anche il parlamento europeo avrà diritto di veto.

«Oggi è stata una tappa importante, ma molto resta da fare», ha affermato il negoziatore britannico, David Davis. La Ue ha imposto il suo punto di vista: la Gran Bretagna dovrà applicare il diritto europeo fino alla fine del periodo di transizione, cioè fino al 2021 dovrà rispettare le «4 libertà» di circolazione (persone, merci, servizi e capitali), le decisioni della Corte di Giustizia e dovrà continuare a pagare la sua quota al bilancio Ue (oltre all’assegno una tantum per uscire, che è stato stabilito intorno ai 50 miliardi di euro).

E DOPO? «I britannici vogliono restare nel mercato unico o no?

Stanno nell’Unione doganale o no?», ha chiesto il pragmatico primo ministro olandese, Mark Rutte. Il primo ministro irlandese, Leo Varadkas, ha ricordato che «il grosso è ancora da fare per quanto riguarda la frontiera irlandese, dal punto di vista irlandese vorremmo una relazione più vicina possibile a quella di oggi, ma non sarà la visione di tutti». Theresa May, che giovedì sera è rientrata a Londra dopo essere stata gratificata di un debole applauso da parte dei suoi colleghi, ha parlato di «tappa importante» superata in vista di una «Brexit senza asperità e ordinata». Ma il negoziatore europeo, Michel Barnier, avverte: se Theresa May non rivede le sue «linee rosse» (ha promesso in Gran Bretagna l’uscita sia dal mercato unico che dall’Unione doganale), la Brexit rischia di non essere tranquilla. È solo dopo che la Gran Bretagna sarà diventata un paese terzo, che potranno iniziare i negoziati settore per settore. Davis vede un «Ceta plus plus plus», cioè un accordo simile a quello che la Ue ha con il Canada, migliorato.

Le discussioni saranno dure, riguardano la soppressione dei diritti doganali per le merci e i servizi, le equivalenze dei diplomi, i permessi di commercializzazione delle medicine e altro ancora.

Per la City l’accordo futuro deve riguardare anche il «Passaporto finanziario», cioè la possibilità per la finanza britannica di avere accesso ai mercati di capitali europei. Ma questo «passaporto» è impossibile se la Gran Bretagna esce dal mercato unico. Se resta dentro, dovrà pagare il suo contributo (come fa la Norvegia) senza poter pesare sulle decisioni. Londra fa balenare la minaccia di un «paradiso fiscale» alle porte della Ue, ma Bruxelles ha delle armi per bloccare questa deriva.

LA PROSPETTIVA della Brexit ha favorito ieri un’accelerazione della Cooperazione strutturata permanente sulla Difesa e del Fondo europeo di difesa. Al Pesco partecipano 25 paesi su 27 (meno Danimarca e Malta), per un coordinamento nel settore della difesa (truppe, progetti, investimenti), per la ricerca e gli acquisti di armamenti. Sulla riforma della zona euro, voluta da Macron, le decisioni sono rimandate a giugno (a causa dell’assenza del governo tedesco).