A seguito dell’accordo sulla Brexit elaborato dal governo May, gli unionisti nordirlandesi annunciano battaglia, e non solo a parole. Tra le opinioni più temerarie di questi giorni quella del reverendo Barrie Halliday, membro di un partito minoritario, il Traditional Unionist Voice, nato nel 2007 da una scissione all’interno del Dup. Barrie ha dichiarato, in un video postato su Facebook, che la frontiera tra le due Irlande «verrà difesa con i fucili». Parole che riecheggiano le immagini di sangue evocate dalla stessa Foster, leader del Dup, qualche settimana fa.

Si tratta, nel caso di Barrie, di una reazione estrema e non rappresentativa della galassia politica unionista, ma di certo dà il polso dello smarrimento e della rabbia di una comunità che si sente decisamente sotto assedio, abbandonata da Londra, e persino dalle proprie associazioni di categoria. Tra queste gli industriali dell’Irlanda del Nord, i commercianti e la stessa camera di commercio nordirlandese. Tutte chiedono ragionevolezza alla leader del Dup affinché possa adottare posizioni più morbide nei confronti della premier May.

A tali sollecitazioni Foster ha risposto con fermezza ribadendo l’opposizione netta all’accordo, soprattutto in virtù della clausola del backstop. Vera e propria assicurazione che non sarà ripristinato alcun tipo di frontiera tra le due Irlande, il backstop è considerato dal Dup il primo passo verso una reale separazione dalla madrepatria. Sebbene la premier inglese abbia spiegato che si tratti di una clausola transitoria, il sospetto unionista è che il Regno Unito speri segretamente di liberarsi del fardello nordirlandese.

Qualche spiraglio, tuttavia, è sembrato aprirsi quando, in una trasmissione televisiva della Bbc, Foster ha fatto menzione della soluzione norvegese secondo cui il Regno Unito potrebbe unirsi allo Spazio Economico Europeo pur uscendo di fatto dall’Unione. Si tratta di uno scenario però non troppo realistico. Come May stessa ha spiegato, e come viene ribadito dalla Commissione, non esiste un piano B, e se l’accordo verrà rigettato dal parlamento di Westminster, si andrà incontro a una Brexit non negoziata, ovvero lo scenario economicamente più sfavorevole per tutti.

Pur non sciogliendo ancora la riserva, Foster continua a minacciare di uscire dalla risicata maggioranza che tiene in piedi il governo a guida May, incitandolo a «smetterla di perdere tempo» e a «mettersi al lavoro per un accordo migliore». Ha apertamente dichiarato che il suo partito «per nessuna ragione al mondo» accetterà di sostenere l’accordo, e si è detta sicura che non vi sia all’interno del parlamento troppo entusiasmo per il testo approvato dagli stati membri.

A chi poi le ha fatto notare come il mancato sostegno a May potrebbe portare a un governo guidato dal laburista Corbyn, ha risposto scaricando la responsabilità su quel partito conservatore che starebbe tradendo «i 17.4 milioni di persone» che hanno votato per lasciare l’Ue. «Sono loro», ha aggiunto, «che spianeranno la strada a Corbyn». Altri rappresentanti di rilievo del suo partito, tra cui Nigel Dodds, confermano che ci saranno conseguenze per il governo, assicurando che il Dup «non si farà comprare: abbiamo dei principi di fondo e a quelli resteremo attaccati». È questo un chiaro richiamo al famoso motto unionista No Surrender, nessuna resa.

Di tutt’altro tenore ovviamente la reazione di Sinn Féin, che per bocca della leader Mary Lou McDonald ritiene le posizioni del Dup «catastroficamente errate», consapevole che «l’accordo non è perfetto, ma di certo fornisce una base per proteggere i nostri interessi economici». Nell’uso dell’aggettivo «nostro» appare chiara la posizione del partito repubblicano. La volontà è di inclusione della comunità unionista anche nei nuovi scenari che si verranno a creare; ma è evidente che, in un’ottica di riavvicinamento se non di riunificazione con la Repubblica, persino i toni più concilianti verranno visti dall’altra parte dello schieramento con crescente scetticismo e paura.