Forti tensioni sulla Brexit al Consiglio europeo. Un documento molto duro, alla fine della discussione tra i 27 sul primo argomento affrontato al vertice, il decimo dell’anno e forse l’ultimo in presenza nel 2020: la Ue «nota con preoccupazione che i progressi nelle questioni-chiave degli interessi della Ue non sono ancora sufficienti per raggiungere un accordo».

La Ue cerca un accordo che possa concludere una partnership «il più vicina possibile». Ma la Ue non lascia il tavolo: i 27 capi di stato e di governo, dopo aver ascoltato Michel Barnier fare il punto sullo stato delle discussioni, hanno invitato il negoziatore Ue a «continuare il negoziato».

Boris Johnson è con le spalle al muro, la Gran Bretagna è in affanno per organizzarsi a un eventuale no deal che colpirà più i britannici che il blocco Ue, visto lo squilibrio nell’import-export (50% dalla Ue per la Gran Bretagna, 8% nel senso inverso). Anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, nel suo intervento si è detto «piuttosto preoccupato per la mancanza di chiarezza della Gran Bretagna».

Il Consiglio europeo ha sottolineato ieri che l’Accordo di ritiro deve essere rispettato «in pieno e nei tempi previsti», mentre l’Internal Markel Bill, votato di recente a Westminster, contraddice il testo firmato da Londra. La fiducia manca e molti cominciano a perdere pazienza. «Non vogliamo un accordo a qualsiasi prezzo», ha ripetuto ieri il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.

La stessa frase è stata pronunciata dalla presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, che ieri ha dovuto lasciare il Consiglio europeo perché caso-contatto. Per Von der Leyen, la Ue cerca un accordo, «ma c’è ancora molto lavoro da fare».

La Ue ha accettato, su richiesta britannica, di togliere dai negoziati la sicurezza e la difesa e in questi campi tutto resta aperto. Restano tre grossi ostacoli: c’è qualche progresso nel Level Playing Field, che riguarda i timori di dumping britannico sulle norme ambientali e sociali, mentre resta nel vago la questione della governance dopo l’uscita (ruolo della Corte di Giustizia europea).

Ieri è stata soprattutto questione del terzo ostacolo: la pesca. Emmanuel Macron è arrivato bellicoso: «I nostri pescatori non saranno sacrificati alla Brexit». Per il presidente francese, appoggiato da Belgio e Danimarca, per il momento «non ci sono le condizioni per un accordo» ed «è possibile che non ci sia accordo, siamo preparati a questo».

In realtà, sulla pesca sono stati fatti piccoli passi, la Ue ha accettato di non farne una pre-condizione per il proseguimento della trattativa, la Germania fa sapere che ormai tutti sono convinti che i paesi costieri Ue subiranno delle limitazioni di pesca.

Ieri sera alla cena l’argomento è stato il cambiamento climatico. Le decisioni saranno prese al Consiglio di dicembre. Ci sono divisioni non tanto sull’impegno per la neutralità Co2 nel 2050, ma sulla diminuzione delle emissioni del 55% entro il 2030 (l’Europarlamento vuole il 60%).

Per ora la Ue è sulla buona strada per una diminuzione del 40%, un primo impegno. L’est spinge per un calcolo su base Ue e non nazionale, mentre il Parlamento europeo chiede un impegno paese per paese.