IL calcio europeo sta per essere stravolto scaduto l’accordo di transizione che tiene avvolti il Regno Unito e l’Unione Europea. La Brexit entra nella sua fase esecutiva, gli accordi sanciti dalla terra di Sua Maestà con l’Unione Europea e i suoi paesi membri sono estinti e sarà un passaggio dagli effetti devastanti anche per l’universo del pallone.

Una rivoluzione, perché cambia lo scenario per la Premier League, il più ricco e mediatico torneo nazionale in giro per il mondo, una specie di Nba del pallone che nell’era precedente all’arrivo del Covid-19 produceva milioni di euro a pioggia, tra contratti televisivi per le partite trasmesse all’estero e una formidabile macchina per il merchandising, Il calciomercato, che nell’ultimo decennio aveva visto i club inglesi, dal Manchester City al Liverpool, dominare la scena, sarà rivoluzionato dall’addio del Regno Unito all’Unione Europea: la Football Association, la federcalcio inglese, ha ufficializzato il nuovo protocollo, stilato in accordo con Premier League e EFL (acronimo di English Football League, istituzione di lega che organizza i campionati di secondo, terzo e quarto livello) che sarà in vigore a partire dal primo gennaio e la prima regola avverte che tutti i calciatori non britannici saranno considerati come degli extracomunitari per tutti i club della massima divisione.

Per essere acquistati da club inglesi gli atleti dovranno ottenere il GBE (Governing Body Endorsement), praticamente si tratta di un permesso di lavoro che il ministero dell’interno concederà sulla base di un sistema a punti basato su diversi fattori: per la precisione, questi parametri saranno le presenze internazionali a livello di prima squadra e giovanili, poi anche la valutazione del club provenienza del calciatori, considerando la federazione di appartenenza, il campionato in cui gioca, la posizione raggiunta in campionato e pure il cammino nelle competizioni continentali. Ma saranno valutate anche le presenze accumulate nei club, in competizioni nazionali e internazionali.

Un pacchetto di condizioni che rendono poco agevole il percorso per il permesso di lavoro: una stima della BBC ha mostrato che quattro stagioni fa 332 atleti tra Premier League, Championship (la seconda divisione inglese) e Scottish Premiership (il campionato scozzese) non sarebbero rientrati tra i parametri per richiedere il visto. Due ex campioni d’Inghilterra con il Leicester dei miracoli di Claudio Ranieri, ovvero N’Golo Kante (ora al Chelsea) e Riyad Mahrez (al Manchester City) non l’avrebbero ottenuto, arrivando da club minori francesi, Caen e Le Havre, senza presenze in nazionale e con ingaggi assai bassi. In realtà, il sistema predisposto dal protocollo è simile a quello usato in passato per i giocatori extracomunitari, ma i club di Premier League sono alle prese con un braccio di ferro con la federcalcio, chiedendo da mesi l’introduzione di alcune norme specifiche, come i visti speciali per gli atleti professionisti, oppure un’ipotesi più percorribile, un accordo nella composizione delle rose: secondo la Premier League per ogni club dovrebbero figurare nella rosa da 25 giocatori almeno dieci prodotti locali, 12 con permesso di lavoro e tre con deroga ai vincoli del protocollo. La trattativa è ferma, a pochi giorni dal via alla Brexit, con quasi nulle prospettive di essere accolte.

Ma è un altro elemento del protocollo che metterà parecchio in difficoltà i club inglesi, con immediati effetti benefici per gli altri top tornei europei tra cui la Serie A, ovvero lo sbarco in Inghilterra di giovani stranieri. Il nuovo protocollo prevede infatti che i club britannici non potranno acquistare calciatori sotto i 18 anni. Inoltre, per gli calciatori under 21 è stato fissato un limite fisso di tre atleti acquistabili per ogni sessione di mercato, che diventano sei per tutta la stagione. È il passaggio decisivo: la Fifa, il massimo organismo calcistico mondiale, vieta il trasferimento di calciatori under 18 tra due club di Paesi diversi, un limite che si abbassa ai 16 anni per gli stati che sono parte dell’Unione Europea. Con il via alla Brexit, fine del privilegio per il Regno Unito. In poche parole, i club inglesi non potranno portare nelle academies, nei settori giovanili, i migliori prospetti da altri Paesi.

Tra gli esempi degli ultimi dieci anni vanno ricordati Paul Pogba, campione del mondo con la Francia e finito adolescente al Manchester United di Sir Alex Ferguson, oppure lo spagnolo Cesc Fabregas, uscito dalla cantera del Barcellona, la famosa Masia, per legarsi all’Arsenal di Arsene Wenger per poi far ritorno al Barça, oppure il difensore del Barcellona e della Spagna Piqué, che prima di tornare in Catalogna ha provato il brivido di giocare da giovanissimo per il Manchester United, scendendo in campo nel mitico Old Trafford.

L’adozione di questo protocollo ha ovviamente generato il panico tra i club inglesi, c’è la concreta possibilità di un declassamento tecnico ed economico della Premier League. Con la stesura del nuovo protocollo conseguente alla Brexit, le istituzioni britanniche – calcistiche e non – si erano poste l’obiettivo di valorizzare il talento locale, anche per tirare la volata alla nazionale inglese che non vince la Coppa del Mondo dal 1966 (unico e contestato successo in finale sulla Germania, nell’edizione di casa) e che vede un esercito di stranieri soffiare il posto ai potenziali talenti inglesi. Ma voci autorevoli come The Guardian hanno messo in guardia che le limitazioni poste ai club inglesi sul mercato potrebbero «avere effetti sismici sul recente predominio economico e tecnico dei club inglesi rispetto ai loro contender europei». E se i top club, il Liverpool, i due club di Manchester, il Chelsea di Roman Abramovich potranno sempre staccare assegni per arrivare al fuoriclasse già consacrato, si prospettano tempi duri per i club medio-piccoli, che potranno attingere da un serbatoio di atleti più ristretto.