La ripartenza dell’economia britannica è momentaneamente rinviata, complice l’ormai permanente “tempesta perfetta” alla quale far fronte con l’altrettanto immancabile “resilienza”: Brexit e Covid hanno fatto sì che manchino prodotti nei negozi. Perché a mancare a loro volta sono i lavoratori che li fanno, li coltivano, li raccolgono, li impacchettano o ce li portano. E così, come un paio di anni fa, certi scaffali tornano a mostrarsi vuoti, con scene che più che alla Londra contemporanea fanno pensare a una Tbilisi negli anni Settanta e che evocano il cieco terrore del consumo forzosamente limitato: mancano soprattutto il pane, il latte, certi ortaggi. Mentre i frutti marciscono incolti sui rami, supermercati come Sainsbury’s, Tesco e Asda sono costretti a “scusarsi per i disagi”.

UN ALTRO SUPERMERCATO ad essere pesantemente colpito è Iceland, tentacolare spaccio sottocosto di surgelati ricchi di disvalore nutritivo, nonché pilastro delle diete dei cosiddetti meno abbienti. McDonald’s, Nando’s, Greggs, Kfc, Subway e altre catene erogatrici di cibo da filiera morta denunciano carenze di ingredienti che rischiano di ritorcersi a favore della salute dei loro clienti. Ma se da McDonald’s mancano i frullati, a essere deficitario è soprattutto l’approvvigionamento di carni avicole: da Gregg’s, ciclope del prodotto salato/dolciario da forno, mancano soprattutto i polli che farciscono diabolici wraps, alla catena portoghese/sudafricana Nando’s mancano le ormai proverbiali alette di pollo alla griglia da consumarsi come snack, inquietante epifania delle coscette di cavalletta che le sostituiranno nei decenni a venire.

SI PROFILA DUNQUE un natale oscenamente misurato, addirittura preceduto dalla cancellazione del Black Friday, a novembre: anche perché se l’anno scorso – sospinta dalla pandemia e preceduta da quella di carta igienica – la corsa all’incetta di generi alimentari è stata gestibile, quest’anno la situazione è assai peggiore e rischia di incattivirsi ulteriormente in prossimità dell’agognata riapertura di scuole e uffici.

LE CAUSE STANNO imprevedibilmente in un mercato del lavoro decimato dall’abbinamento fra la pandemia e l’isolazionismo: per la prima volta da quando si effettuano i rilevamenti, le cifre ufficiali delle offerte di lavoro per luglio hanno superato il milione, nonostante le imprese cerchino di attrarre lavoratori attraverso l’offerta di bonus e aumenti di stipendio.

Le professioni deficitarie sono soprattutto i trasportatori: la carenza di qualche mese fa è diventata una vera e propria crisi. Di camionisti europei orientali soprattutto, quelli che erano accorsi a frotte a lavorare in Uk per le vantaggiose condizioni contrattuali di cui potevano godere prima che calasse la mannaia Brexit: ne mancano novanta/centomila sui seicentomila solitamente attivi per approvvigionare le isole.

È un lavoro che spacca la schiena quello del camionista e che l’impennata pandemica delle consegne a domicilio ha reso imprescindibile e insostituibile, come già preconizzato dalla quella fila biblica di autoarticolati a Dover mesi addietro. I camionisti sono relativamente anziani e i più giovani non ne vogliono sapere di spaccarsi le vertebre e/o ridursi le diottrie giorno e notte al volante, per questo le imprese chiedono al governo di migliorarne trattamento e condizioni mediante la richiesta di visti, mentre le imprese rispondono acquistando furgoni, più gestibili anche se meno capienti. Il governo aveva d’altro canto già aumentato le ore in cui i trasportatori possono guidare, come anche i rischi.

TRA LE CAUSE DEL TRACOLLO sono anche le applicazioni di tracciamento anti-Covid, che hanno costretto all’autoisolamento migliaia di questi lavoratori. Analogo problema di supply chain affligge l’industria automobilistica, in piena riconversione elettrica ugualmente nefasta per l’ambiente quanto proficua a livello azionario: secondo la Society of Motor Manufacturers and Traders (Smmt), a luglio l’output automobilistico è calato del 37,6% rispetto all’anno precedente, il quantitativo più basso dal 1956, un problema dovuto anch’esso al rifornimento di parti trasportate su ruota.