Il referendum come la Brexit, più della Brexit? Lo dice a chiare lettere solo il Wall Street Journal, una delle testate che dagli Usa, dalla Spagna e dall’Uk hanno lanciato l’offensiva ferragostana a supporto di Renzi e del suo referendum. Ma anche quando non viene esplicitamente nominato il paragone aleggia, e viene ovviamente ripreso dai media italiani quasi tutti impegnati, con la Rai capofila, in una sfrenata campagna per il Sì. In realtà un punto di contatto forte tra i due referendum c’è: la campagna per il Sì, come quella contro la Brexit fa leva sulla paura più che sulla convinzione. Non difende una posizione: minaccia apocalisse qualora vincesse quella opposta. Nel Regno unito, almeno, il disastro vaticinato c’azzeccava col quesito referendario. In Italia invece no. Ci vuole una buona dose di funambolismo per collegare il fallimento della politica economica del governo Renzi con l’abolizione o meno del Senato.
All’oggetto di tanto interesse internazionale, Matteo Renzi, è probabile che il supporto non sia piaciuto affatto. E’ vero che i giornaloni, quale più quale meno esplicitamente, invitano gli italiani a votare per la sua riforma, ma intanto dipingono l’Italia come un Paese in braghe di tela e la politica economica del medesimo Renzi come un plateale fallimento. E’ l’opposto dell’immagine che il premier voleva e vorrebbe offrire, ed è anche del tutto controproducente sul piano elettorale.

Ieri un po’ tutte le forze politiche del No hanno preso di mira la Brigata internazionale a mezzo stampa pro Renzi. «Un Renzi sempre più pallone sgonfiato si fa aiutare dai giornali internazionali», ironizza Toninelli, delegato dell’M5S in materia di riforme. Sbrigativa la Meloni: «Le lobby che hanno piazzato Renzi possono dire quello che vogliono, ma gli italiani voteranno No». Compassato il capo dei senatori forzisti romani: «Gli italiani devono sentirsi liberi di votare per il Sì o per il No. Questa scelta non c’entra nulla con i destini economici del Paese». Conferma e rincara la capogruppo di Si De Petris: «Non è certo colpa della Costituzione se le scelte economiche del governo Renzi sono state fallimentari. La vittoria del Sì renderebbe ancora più difficile la necessaria inversione di marcia in politica economica».
Già perché il problema, a leggere bene i commenti della famosa stampa internazionale è tutto lì: Renzi deve vincere il referendum per smettere di fare la politica economica di Renzi, per cambiare strada e “affrancarsi” da Bruxelles. Lo dicono tutti e in Italia il capo dei deputati renziani Rosato raccoglie la palla: «Sono 30 anni che promettiamo le riforme agli alleati e diciamo che in cambio vogliamo maggiore flessibilità. Il referendum e la Brexit sono cose molto diverse, ma la politica italiana deve mantenere i patti». Parole imbarazzate e allusive. Rosato stesso, probabilmente, si rende conto dell’enormità di quel che sta dicendo e di non poterlo dire troppo esplicitamente: la riforma deve passare perché così vogliono i signori di Bruxelles e di Berlino, convinti che la democrazia sia un impaccio, e in cambio, forse, elemosineranno un po’ di flessibilità in più. Essendo questo il solo argomento solido a favore della riforma, si può capire perché i suoi sostenitori ritengano pericoloso adoperarlo chiaramente.
In realtà c’è un secondo argomento, che però se possibile è ancora più capzioso. La riforma deve passare perché altrimenti Renzi si dimetterebbe e si sa che ai mercati piace la stabilità. In questo caso, però, a creare il problema alzando a dismisura la posta è stato lo stesso premier. La riforma, o la sua bocciatura, in sé c’entrano pochissimo. Come segnalava ieri l’economista francese Jacques Attali al Quotidiano nazionale: «Non capisco perché Renzi voglia dimettersi se la riforma viene respinta. L’abolizione del Senato è una riforma come le altre. Se passa bene. Sennò si va avanti». In fondo è quello che scriveva anche il Ft: «Aver personalizzato il referendum» è stato «un errore di Renzi», dal momento che «molti coglieranno l’occasione per votare contro un governo sempre più impopolare». Nemmeno questo a Renzi deve essere suonato come un complimento. E neppure come un aiuto.