Sudan, democrazia ibrida: definitivo l’accordo civili-militari

L’intesa tra giunta militare e opposizioni civili c’è e sarà firmata oggi: «È stato raggiunto un accordo completo in Sudan sulla nuova dichiarazione costituzionale», ha detto ai giornalisti riuniti a Khartoum Mohamed Hassan Ould Labat, inviato dell’Unione africana.

A soli due giorni dall’ultima strage di manifestanti (giovedì 4 morti a Omdurman), il Consiglio militare di transizione e le Forze per la libertà e il cambiamento avrebbero superato le divergenze che bloccavano l’accordo stipulato mesi fa: potere spartito tra civili e militari per tre anni fino alle elezioni; nomina del primo ministro che formerà un governo con le Ffc (ma Difesa e Interni andranno ai militari); parlamento di 300 membri, di cui il 67% civili. E i paramilitari delle Rsf, responsabili dei massacri di questi mesi, finirebbero inglobati nell’esercito.

Dopo l’annuncio in tanti si sono riversati su Nile Street, nella capitale, per festeggiare. Caroselli di auto, sventolio di bandiere e tanta attenzione: «Siamo felici, è un passo verso la democrazia – dice un giovane ad al-Jazeera – Ma non significherà nulla se non sarà implementato».

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Porto Rico, Rosselló si dimette. Ma resta

La festa per le dimissioni di Ricardo Rosselló da governatore di Porto Rico, dopo proteste di massa, è durata poco: prima di andarsene ha nominato segretario di Stato il politico Pedro Pierluisi, facendone de facto il suo successore. Pierluisi ha giurato ieri.

E le proteste potrebbero riprendere: Pierluisi è considerato il mezzo di Rosselló per perpetrare il proprio potere, con le associazioni per i diritti civili parlano di «dirottamento della costituzione». Ora tocca al Senato: già domani dovrebbe esprimersi sulla sua nomina.

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Le minacce dell’esercito cinese non svuotano le strade di Hong Kong

A due giorni dal video di tre minuti in cui l’esercito cinese di Hong Kong lanciava il suo avvertimento ai manifestanti (mostrando le truppe impegnate in esercitazioni anti-sommossa), le piazze non si svuotano: per il terzo giorno di fila e la nona settimana consecutiva, ieri in migliaia hanno occupato strade, eretto barricate, bloccato una galleria.

La polizia ha lanciato gas lacrimogeni e usato i manganelli, mentre in tanti distribuivano cibo e acqua ai dimostranti. Che hanno provato a evitare la repressione cambiando all’ultimo minuto il percorso annunciato: hanno marciato verso sud, verso il distretto di Tsim Sha Tsui, pieno di turisti.

Poco prima la polizia aveva emesso una nota definendo la partecipazione ad assembramenti non autorizzati «un atto illegale». Lo scorso mercoledì, in tribunale, sono comparse 44 persone, accusate di «tumulti», un crimine che ad Hong Kong può costare fino a dieci anni di prigione. Ma il movimento non si arresta: ottenuto la cancellazione della legge sull’estradizione, la protesta sempre più anti-cinese continua.