Israele riconsegna a una famiglia palestinese il corpo sbagliato

Una pratica dolorosa quanto frequente ieri si è trasformata in una farsa brutale. L’esercito israeliano l’ha definita «errore sfortunato», ma per le organizzazioni dei diritti umani è l’ennesimo caso di punizione collettiva: i soldati israeliani, che avrebbe dovuto riconsegnare alla famiglia Abu Sultan il corpo del 14enne Amjad, ucciso lo scorso ottobre a Beit Jala nella Cisgiordania occupata, hanno dato indietro la vittima sbagliata. Il corpo di un altro palestinese ucciso dall’esercito, chi sia non si sa.

Le autorità israeliane «detengono» spesso e a lungo i cadaveri dei palestinesi uccisi durante proteste o presunti attacchi (nel caso di Amjad Abu Sultan, i soldati avevano detto di aver sparato perché stava accendendo una Molotov). Capita che li tengano per mesi, anni, nonostante sia una pratica contraria al diritto internazionale e alla Convenzione di Ginevra.

Per Israele è uno strumento di deterrenza. Al momento, secondo il Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center, Israele detiene i corpi di circa 80 palestinesi. A cui si aggiungono i 254 seppelliti nel cosiddetto «cimitero dei numeri», luogo segreto in cui le tombe sono lapidi anonime.

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Oggi in Sudan «la marcia del milione»

Nuove proteste di massa sono previste per oggi in Sudan contro il colpo di stato militare del 25 ottobre scorso: gli attivisti per la democrazia puntano a una marcia da un milione di persone. In piazza intanto si continua a morire, la repressione dell’esercito sta colpendo le principali città: secondo l’associazione dei medici sudanesi, il bilancio delle vittime è di almeno 40 morti in meno di un mese. La giornata peggiore è stata quella di mercoledì, con 16 uccisi, tra cui un ragazzino di soli sedici anni, deceduto ieri per le ferite d’arma da fuoco alla testa e a una gamba.

Ma si è manifestato anche venerdì in diversi quartieri di North Khartoum, mentre il Dipartimento di Stato statunitense chiedeva ai militari di rispettare i diritti umani e di permettere alla gente di esprimersi. Ma di pressioni da fuori sul generale Al-Burhan, primo responsabile del golpe, ne arrivano poche e le critiche dei primi giorni si vanno affievolendo, nonostante la cancellazione del governo condiviso tra civili e militari che aveva retto il Sudan dalla rimozione del presidente Omar al-Bashir, nell’aprile 2019, a seguito di proteste di piazza iniziate nel dicembre precedente.

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Tensioni in Kashmir dopo l’uccisione di quattro uomini
Ieri negozi e attività sono rimasti chiusi in Kashmir in segno di protesta contro l’omicidio, lunedì scorso, di quattro uomini in un centro commerciale della capitale Sringar da parte delle forze di polizia indiane, che sostengono si trattasse di «militanti filo-pachistani». Le famiglie dei morti hanno replicato che si trattava invece di semplici civili che lavoravano nel centro, usati come scudi umani in una sparatoria messa in scena dalle autorità indiane. Dopo giorni di proteste i corpi di due di loro sono stati restituiti ai loro cari, che sostengono di aver scoperto su di essi segni di tortura.

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Attacco Houthi contro 13 obiettivi in Arabia saudita

Tredici obiettivi colpiti con 14 droni partiti dallo Yemen: è il bilancio, secondo l’ala militare Houthi, dell’attacco lanciato ieri contro l’Arabia saudita in risposta «ai continui crimini e all’assedio» dello Yemen. Prese di mira diverse città del regno (Gedda, Riyadh, Abha, Jizan e Najran), comprese tre strutture della compagnia energetica statale, l’Aramco. Nessun commento da Riyadh, che ha risposto bombardando alcune postazioni Houthi a Sana’a, Saada e Marib.