IRAQ. Liberata Hawija, l’ultima città occupata dall’Isis

Hawija mancava all’appello: ieri il governo iracheno ha annunciato la liberazione dell’ultimo bastione urbano dell’Isis, ormai schiacciato a ovest, verso il confine siriano. L’operazione di esercito, polizia e milizie sciite ha messo fine a una delle più lunghe occupazioni islamiste in Iraq, iniziata nell’estate 2014.

Come Mosul e Kirkuk, del cui distretto Hawija è parte. L’anno prima era stata teatro di duri scontri tra manifestanti sunniti e governo (decine i morti) e durante l’invasione Usa protagonista della sollevazione sunnita.

La vittoria per Baghdad è significativa ma anche difficile da gestire: la città, a 46 km dalla ricca Kirkuk, si trova sulla direttrice per Mosul e quella per Baghdad; è una delle più importanti zone agricole irachene; ed è – soprattutto – roccaforte della protesta sunnita contro la sciita Baghdad. Ora si ritrova, devastata da tre anni di Stato Islamico, nel mezzo del conflitto interno tra Erbil e governo centrale.

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EGITTO. Decine di arresti, stretta di al-Sisi su gay e nubiani

Dopo i primi arresti al concerto della band libanese Mashrou’ Leila al Cairo, lo scorso 22 settembre, si è intensificata la campagna anti-Lgbt del governo egiziano, una persecuzione non certo nuova ma che vive in questi giorni un’escalation.

Sono 57 le persone arrestate per «dissolutezza» e «istigazione alla devianza sessuale», di cui 9 già condannate a pene da uno a sei anni. Secondo fonti della sicurezza citate dal quotidiano Youm7, «le indagini hanno scoperto che alcuni degli accusati hanno ricevuto fondi da enti stranieri e da organizzazioni per i diritti al fine di diffondere idee che minano la condotta pubblica e la morale».

Nel mirino anche le proteste della minoranza nubiana che lotta da mezzo secolo per tornare nelle terre di origine, ad Aswan: mercoledì la polizia ha arrestato sette manifestanti e il tribunale ha esteso di 15 giorni la detenzione di altri 25 nubiani arrestati a settembre durante un sit-in.

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YEMEN. Salari scomparsi, scuole in sciopero da Sana’a a Aden

Nello Yemen della guerra civile, una cosa accomuna il nord controllato dai ribelli Houthi e il sud in mano al presidente Hadi: dal 30 settembre, inizio dell’anno scolastico, gli insegnanti sono in sciopero.

Da un anno esatto 166mila insegnanti (73% del totale) non ricevono lo stipendio per la crisi finanziaria che attanaglia istituzioni fallite e divise tra le parti in guerra. Si tratta per lo più di chi lavora nelle zone Houthi, nord e centro del paese.

Ma anche nel sud governativo lo sciopero tocca il 90% di adesioni, secondo la Bbc, nonostante la maggiore regolarità nella distribuzione degli stipendi. Che sono però così miseri (136 euro al mese) da costringere gli insegnanti a un secondo lavoro o alla fame.

Oltre 1.700 scuole non sono più utilizzabili perché distrutte da raid sauditi o scontri terrestri o perché usate come rifugi dagli sfollati. E delle 16mila ancora aperte, più di 12mila sono comunque danneggiate.

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PAKISTAN. Attentato contro il santuario sufi, almeno 18 morti

Sarebbero almeno 18 i morti (secondo fonti di Al Jazeera) e oltre 20 i feriti a seguito di un attentato: un kamikaze si sarebbe fatto esplodere all’esterno di un santuario sufi nel sud-est del Pakistan. Ad annunciarlo sono state le autorità pakistane.

Asad Kakar, un importante funzionario dell’amministrazione locale, durante una conferenza stampa, ha specificato che «il kamikaze si è fatto esplodere dopo essere stato intercettato dai poliziotti che montavano la guardia davanti al santuario».

L’attacco è avvenuto nella regione frontaliera di Gandawa, situata nella provincia del Balucistan, ricca di gas e petrolio. Lo stesso santuario aveva subito un simile attentato nel 2005, con un bilancio di circa 35 vittime. Obiettivo dell’attacco il santuario sufi di Fatehpur, nella zona di Jhal Magsi, dove erano radunate centinaia di persone. L’attacco – ad ora – non è stato rivendicato