Egitto, comminate 10 pene di morte

Ieri la Corte penale di Giza ha condannato dieci egiziani a morte e altri cinque all’ergastolo nell’ambito del caso «Imbaba terror cell». Gli imputati sono accusati di essere membri dei Fratelli Musulmani (dal 2013, dopo il golpe del 3 luglio, etichettata come organizzazione terroristica), di attacchi alle forze armate e di possesso di armi senza licenza.

La sentenza si fonda sulla testimonianza di alcuni ufficiali dei servizi segreti e sulla confessione di due presunti membri del gruppo. Aumenta così il ricorso alla pena di morte in Egitto: secondo il Death Penalty Worldwide, sono state 9 nel 2018, 16 nel 2017, 44 nel 2016, 22 nel 2014 contro una nel 2011 e zero nel 2012 e 2013, prima del colpo di Stato guidato da al-Sisi.

Più alti sono i dati della nota ong egiziana Egyptian Coordination for Rights & Freedoms: solo nel 2017 sarebbero stati uccisi 112 detenuti, 60 nel 2016.

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Ucciso giovane palestinese a Urif

Il giorno dopo l’uccisione ad Hebron da parte dell’esercito israeliano del 24enne, padre di due figli e disabile, Muhammad Zain al-Jaabari, ieri un altro giovane palestinese è stato ucciso a Urif, vicino Nablus, dai militari di Tel Aviv: Amir Shahada, 22 anni. Un 16enne è rimasto ferito.

Shahada è stato colpito al petto da un proiettile durante scontri esplosi quando i coloni israeliani dell’insediamento di Yitzhar hanno attaccato il villaggio palestinese di Urif. L’esercito è intervenuto aprendo il fuoco sui palestinesi.

Tra venerdì e ieri sono state numerose le proteste palestinesi nelle città della Cisgiordania, tra cui Hebron, Nablus, Ramallah, dopo l’annuncio del trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme il prossimo 14 maggio, 70° anniversario della Nakba, la catastrofe del popolo palestinese.

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Sdf: Europa, riprenditi i tuoi foreign fighters

Chi vuole un foreign fighter? Nessuno. Da settimane fonti diplomatiche occidentali riportano di discussioni interne ai paesi europei di provenienza delle decine di migliaia di miliziani stranieri arruolati in questi anni dallo Stato Islamico. Pare che nessuno li rivoglia indietro.

La conferma arriva da Gabriel Kino, nuovo portavoce delle Forze Democratiche siriane (federazione di curdi, arabi, assiri, turkmeni impegnata nel nord della Siria): le Sdf ne hanno catturati migliaia e vorrebbero ora sapere a chi «inviarli». «Abbiamo mandato lettere per chiedere ai governi stranieri di prendersi indietro i loro foreign fighters, ma non rispondono neppure», dice Kino.

Anche la stampa Usa registra i «dubbi» occidentali: come gestirli una volta rientrati? La risposta sta forse nelle parole della ministra francese Parly: che muoiano sul campo. Degli altri.