Corea, Seul: «Stop a provocazioni»

Il giorno dopo le minacce nord coreane all’isola di Guam e più in generale agli Stati uniti, e dopo le prime reazioni alla boutade di Trump sul possibile utilizzo del proprio potenziale nucleare, come spesso è accaduto, la crisi coreana ritorna su sentieri più diplomatici, dando spazio ad analisti e alle reazioni dei paesi che meno di altri vogliono una eventuale escalation nell’area.

Ieri è toccato al presidente sudcoreano Moon Jae-in ricordare che le strade del dialogo sono da preferirsi a una dialettica minacciosa e colma di reali rischi pratici. D’altronde nel caso di un eventuale conflitto a rischiare di più sarebbero proprio i sud coreani.

Ieri Seul ha chiesto con forza a Pyongyang di interrompere le provocazioni e tornare al tavolo negoziale sulla convinzione che il dialogo sia ancora possibile a patto che il Nord cooperi. Gli scenari nella penisola «stanno diventando seri per le ripetute provocazioni e minacce del Nord», ha detto Park Soo-hyun, portavoce dell’Ufficio presidenziale dopo la riunione del Consiglio sulla sicurezza nazionale.

La Cina – che ha appoggiato le sanzioni ma non si è espressa sulle ultime sfide verbali, ha lasciato ai suoi media i messaggi da recapitare, avvertendo gli Usa di «non giocare con il fuoco» con Pyongyang, e rilanciando la «doppia sospensione»: sia quella dei test nord coreani, sia quella delle esercitazioni congiunte tra Washington e Seul.

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Nove giornalisti turchi ricercati

Il procuratore di Istanbul ha emesso ieri 35 mandati d’arresto, tra cui 9 diretti a giornalisti, per sospetta appartenenza al movimento Hizmet dell’imam Gülen, considerato responsabile del tentato golpe del luglio 2016.

Tra i ricercati anche Burak Ekici, direttore del quotidiano di opposizione e di sinistra Birgun, con l’accusa di «essere membro di organizzazione terroristica». Nello specifico, i giornalisti sono accusati di aver usato ByLock, sistema di messaggistica criptata che secondo Ankara era il mezzo di comunicazione della rete di Gülen.

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Cantante saudita «dabba», arrestato

Arrestato per un dab: è la sorte di un noto cantante saudita, Abdallah al Shahani. Durante un concerto a al-Taif ha improvvisato la mossa diventata famosa tra i rapper e nell’ambiente hip hop americano, scatenando il caos e migliaia di tweet e post sui social network.

Il dipartimento anti-droghe del Ministero degli Interni di Riyadh, ha vietato il dab perché lo considera un riferimento alla cultura dei narcotici: manifesti e poster sono stati distribuiti nelle città per avvertire la popolazione «dei pericoli per giovani e società».