La proporzione è uno su dieci. Su dieci nuovi assunti nell’ultimo anno uno è a tempo indeterminato, nove sono a termine. Messa in numeri, la proporzione fa impressione: +497 mila, di cui 450 mila a termine, solo 48 mila permanenti in un anno, si legge in un report Istat pubblicato ieri. In valori assoluti aumentano soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+396 mila) ma anche i 15-34enni (+110 mila), mentre calano i 35-49enni (-161 mila), un tempo giudicati come la «fascia» più «produttiva» di una popolazione.

LA CRESCITA PRECARIA è spalmata sui due estremi anagrafici e riguarda sia gli uomini che le donne. Sta permettendo un aumento degli occupati più ampio da quarant’anni, il 1977 quando è iniziata la raccolta delle serie storiche. Una crescita che sta riportando il tasso di occupazione al 58,4%, ancora sotto i livelli pre-crisi, uno dei peggiori in Europa.

LA DISOCCUPAZIONE è calata all’11% a novembre, meno di un decimale rispetto a ottobre, ai minimi dal settembre del 2012. È il quarto mese consecutivo di calo. Ma l’Europa è lontana: in media la disoccupazione a novembre era all’8,7%, il punto più basso addirittura dal gennaio 2009. Rispetto agli ultimi mesi sta emergendo un dato in controtendenza. Mentre diminuisce tra i giovani, la disoccupazione sta crescendo tra gli ultracinquantenni (+0,3%), forse dovuta a una difficile e lunga fase di ricollocazione nel mercato del lavoro causata dalla fine degli ammortizzatori sociali rivisti dal Jobs Act. Il primato dell’occupazione è ancora degli ultracinquantenni, anche a causa della riforma Fornero che ha aumentato l’età pensionabile. Su base annua è cresciuta l’occupazione giovanile, grazie all’infornata di stage, tirocini, apprendistati, lavori in somministrazione e interinali, tutta la gamma offerta dal supermarket del precariato. In questo caso la disoccupazione giovanile è scesa al 32,7%, 7,2% in meno in un anno. È il risultato di un’astuzia: l’allargamento del lavoro dipendente ai rapporti in precedenza regolati con voucher o forme di parasubordinazione. L’analisi pubblicata ieri su La Voce.Info da Bruno Anastasia (direttore dell’osservatorio del mercato del lavoro in Veneto) è cristallina su questo punto.

QUESTO SIGNIFICA che il Jobs Act ha fallito il suo obiettivo ufficiale: aumentare l’occupazione a tempo indeterminato – con un contratto «a tutele crescenti» dove a crescere è la libertà di licenziare senza articolo 18. Quello che cresce è il lavoro da basse qualifiche, salari scarsi, soprattutto nei servizi poveri e nel turismo, commercio e ristorazione. Le caratteristiche principali del lavoro stagionale. Funziona invece, un’altra «riforma» del renzismo, quando era ancora rampante: quella di Poletti che ha cancellato la «causale» dei contratti a termine. Questo è il motore che, da almeno un anno, macina record su record, insieme al lavoro in somministrazione e intermittente. Quest’ultimo aumento è dovuto dall’abolizione dei voucher che ha riversato la grande massa degli stagionali o dei lavoratori in queste forme del lavoro occasionale. Difficile fare cambiare verso su questo punto al Pd, con Renzi in testa e governo Gentiloni a ruota. Il «successo» è del Jobs Act. «È un risultato storico – ha detto Renzi – Il Jobs Act ha fatto aumentare le assunzioni, non i licenziamenti: il tempo è galantuomo, lo diciamo sempre».

QUALCUNO però deve averlo avvertito di quale aumento occupazionale si tratta: «Vogliamo investire sulla qualità dei lavori, non solo sulla quantità». A questo servirebbe «il salario minimo legale» proposto per la campagna elettorale, non nel 2014 quando finanziò 18 miliardi di euro di sgravi alle imprese per assumere con il contratto a tutele crescenti, e non con i contratti a termine di Poletti, come invece sta accadendo. Una politica pro-imprese, pagata con i soldi pubblici, festeggiato come un successo. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia conferma: «I dati confermano che quando si adottano corrette misure si producono effetti positivi sull’economia reale. Le riforme che dimostrano di dare slancio al paese, a cominciare dal Jobs Act, non vanno smontate ma potenziate». A cominciare dai nuovi sgravi alle imprese del Sud.

«RISPETTO alla continua precarizzazione del mercato del lavoro, non mi pare che ci siano dati che danno un segno diverso» ha detto Susanna Camusso (Cgil).«È la tendenza dell’ultimo anno: aumento dell’occupazione, ma sempre occupazione precaria» sostiene Pippo Civati (Possibile/Liberi e Uguali).